domenica 2 gennaio 2011

Rileggendo Buonanotte Aisha


Rileggendo Buonanotte Aisha
di Liliana De Fabris, Psicologa

Premessa
La lettura e l’ascolto del racconto “Buonanotte Aisha” ha suscitato in me, che da oltre trent’anni mi occupo dei problemi psicologici e affettivi della famiglie in difficoltà, alcune riflessioni. Con grande efficacia letteraria la scrittrice ha dimostrato comprensione e condivisione per le vicende dolorose delle due protagoniste e mi ha riportato indietro nel tempo, quando adolescente, con la mia famiglia, vivevo in Africa, dove sono nata, al confine tra Kenya e Somalia.
Anche allora, come oggi, le ragazze appena sviluppate erano considerate in età da marito – io stessa ero ritenuta una zitella a 14 anni! – e per quelle che non si sposavano i rischi di violenza erano relativamente facili.

Il racconto
Aisha-Eloise: due donne diverse per condizione economica e sociale, cultura, età, colore della pelle ma accumunate da uno stato di profonda infelicità. L’una perché colpita nella sua dignità di donna, l’altra perché privata della maternità.
Più forte la prima che, pur essendo stata violentata già all’età di 12 anni e avendo avuto più figli, non voluti, in quanto frutto di ulteriori violenze, ma amati e da mantenere, rifiuta un matrimonio riparatore per non cadere poi nella condizione della dipendenza dalle altre mogli del padre di alcuni dei suoi figli e preferisce vivere come una questuante sulla strada ma con dignità, senza prostituirsi.
Più fragile la seconda, ma non meno profondamente ferita dalla maternità negata e dall’amaro rimorso di scelte sbagliate.
Il loro incontro all’inizio è stato “un incontro di disperazione e solitudine…”, al tramonto, con la sola certezza da parte di entrambe di non avere più nulla da perdere e che quella notte sarebbe potuto essere l’ultimo tempo da vivere. Ma, prima che scenda il buio, una luce si riaccende, quella della speranza.

L’analisi psicologica
Aisha, dai sentimenti semplici, propri della cultura centroafricana, comprende con immediatezza che quella donna bianca dia capelli rossi avrebbe potuto cambiarle la vita, si sente più forte e più serena tanto da manifestare questi sentimenti sui suoi manufatti: le bambole di stoffa da lei cucite avevano pian piano cambiato aspetto ed assumevano le sembianze di bambini come li desiderava davvero, con gli occhi dritti e i fiori sulle vesti. E fu proprio con la comparsa di uno di questi fiori, il girasole, simbolo della vita e del sole, il segno diagnostico di un ritorno pieno alla fiducia nella vita e nel prossimo. Importante la simbologia della bambola che oggi è spesso considerata, a torto, un giocattolo non più di moda e solo per bambine. L’educazione a prendersi cura, cullare, i propri oggetti, regali che mimano il bambino, la bambola, è funzionale all’educazione sentimentale e affettiva di tutti gli esseri umani, primariamente le donne.
Più lungo il percorso di Eloise, più debole psicologicamente dell’altra, condizionata da una cultura e mentalità diverse che ostacolano l’umiltà del chiedere aiuto. Da sola non sarebbe stata in grado di superare la sua desolazione e sofferenza senza la presenza filiale, proprio di colei alla quale, inizialmente, aveva offerto il proprio aiuto.
Quello che spinge le due donne a comunicare e a capirsi, al di sopra di tutte le forse provenienti dall’istinto, dall’ambiente, dall’emotività, si basa su un elemento irriducibile: la fiducia dell’uomo nell’uomo, e questo incontro così particolare, data la poca capacità che abbiamo noi donne di collaborare tra di noi, assume una grande varietà di sfumature e di comportamenti che vanno dalla scoperta della pietà, alla comprensione, alla collaborazione ed infine alla condivisione.
Un cammino fatto più di gesti che di parole, di quelli essenziali per consentire una comunicazione efficace tale da creare condivisione e quindi la possibilità di salvezza per entrambe.

Il ruolo di alfiere del femminile nella difesa della vita
Un’altra riflessione: perché il libro è dedicato “Ad una nuova vita” ed in particolare questo racconto ai bambini (watoto) del Kenya proprio in occasione del Natale? Cosa significa Natale? La nascita del Bambino Gesù è un messaggio di vita da portare ad altri bambini e la piccola donna ebrea, fino allora sconosciuta, ma scelta da Dio, grazie alla sua maternità accettata con umiltà – “sono la serva del Signore” – ed assecondata da un semplice ‘fiat’, è stata assunta al vertice di tutte le donne di ogni tempo. La maternità e l’amore di un figlio e per un figlio è indubbiamente il fatto più importante nella vita di una donna. Generare e difendere la vita è un elemento fondamentale e fondante per ogni donna. Questo elemento non sempre è compreso pienamente e quindi condiviso dalle donne stesse, dipendendo dall’influenza dell’ambiente familiare, della società, dei messaggi inviati dai mass media e dalla propria elaborazione psicologica, affettiva.
Nonostante ciò siamo per diritto e per dovere procreatrici e testimoni della vita, bene sacro da difendere: quando una donna genera un bimbo prosegue il capolavoro immortale della creazione divina.
E’ questa una difesa molto difficile da portare avanti: abbiamo bisogno di essere aiutate in un mondo diventato incomprensibile a noi stesse. Incontriamo ostacoli di ogni genere che sembrano negare quello che altrove si attende, come il diritto alla maternità. Un esempio eclatante lo vediamo nel mondo del lavoro dove non esistono sufficienti tutele per la madre lavoratrice che può vedersi negato il diritto ad avere figli attraverso la promessa di licenziamento o, una volta nato il figlio, non strutturando luoghi di accoglienza per il piccolo. O riconoscendo diritto alla vita a legami chiusi alla procreazione. Cosa possono fare le donne in una mondo dove la fertilità è considerata spesso come una malattia? Dove una legge garantisce il diritto ad abortire ma non a vivere?
E’ necessaria una più profonda comprensione dell’identità femminile, dei doni e dei talenti di ogni donna, per evitare complessi di inferiorità o di superiorità nei riguardi dell’altro sesso, ribadendo il concetto a noi caro di ‘uguaglianza nella diversità’ nei ruoli e nelle funzioni sociali e lavorative.
In età moderna lo sviluppo della tecnica e della scienza ha reso preminente l’importanza dell’intelletto, superando di fatto le differenze ataviche psicofisiche tra maschio e femmina.
Nonostante ciò dobbiamo riconoscere che, malgrado, la Convenzione Onu sull’eliminazione di discriminazione verso le donne, firmata nel 1979 dai delegati di 130 Paesi del mondo, in un gran numero di Nazioni ci si rifiuta ancora di accordare alle donne dignità umana e il rispetto che meritano semplicemente come esseri umani.
E non credo neppure nella lotta femminista di vecchio stampo, per me controproducente in quanto creatrice solo di antagonismi. Ritengo invece, come psicologa cattolica che il problema non sia né sociale, né economico, ma essenzialmente culturale, spirituale e psicologico: solo se si darà la massima importanza ai valori cardinali della vita individuale e collettiva e alla loro applicazione prativa, la donna, alfiere della sacralità della vita. Riacquisterà rispetto e dignità.
Grazie Ilaria

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