martedì 31 maggio 2011

LIBRO chiama LIBRO"

LIBRO chiama LIBRO"

Metti una sera d’estate nel cuore di Lecce un ritrovo per appassionati scambisti di libri

Lecce, 23 Maggio 2011 - La vita di un libro non termina con la lettura della sua ultima pagina, ma prosegue nelle mani di un nuovo lettore, lungo un immaginario filo perenne delle emozioni. Nasce così l’iniziativa promossa dal Comune di Lecce, realizzata in collaborazione con l’agenzia TITANIA di Alessandra Pizzi che, in linea con i programmi promossi dal Ministero dei beni e delle attività culturali, intende incentivare la divulgazione e il “consumo” della lettura, avvicinando sempre più nuove fasce di pubblico ai libri.
L’iniziativa segue il format del bookcrossing, per realizzare un “raduno” di lettori nel centro della Città. Imperativo d’obbligo è portare con se un libro, nuovo o usato, per “scambiarlo” con altri lettori. Un modo nuovo per comunicare e socializzare, ma soprattutto un modo per garantire la “vita perenne” dei libri garantendo l’accesso alla lettura a più utenti. Il titolo fortemente evocativo della consueta prassi del “passaparola”, intende evidenziare le caratteristiche di un’iniziativa che, attraverso il coinvolgimento sociale, vuole far divenire il consumo della lettura un gesto corale, ovvero capace di rappresentare nuove forme di aggregazione cittadina. Ecco perché, l’amministrazione comunale ha inteso realizzare il raduno, all’interno del tessuto urbano e cittadino, ovvero presso la Villa Comunale. L’intento, fortemente voluto dall’Amministrazione, è quello d portare l’evento nel pubblico, e non il pubblico nell’evento, realizzando così l’opportunità di una partecipazione diffusa. L’iniziativa vede il coinvolgimento delle case editrici locali, invitate a presentare per l’occasione le novità librarie e degli scrittori che animeranno il “raduno” con reading e presentazioni.
Alla conferenza stampa era presente l'Assessore alla Cultura del Comune di Lecce Massimo Alfarano e la scrittrice Ilaria Guidantoni, che al Sedile della città sabato 21 maggio ha presentato "I giorni del gelsomino" (P&I Edizioni) sul tema del femminile nelle rivoluzioni in riferimento alle rivolte del Nord Africa. L'autrice ha deciso di dedicare un libro Alla città invitando tutti gli scrittori a donare una copia per la biblioteca comunale o realtà sociali locali che possano beneficiarne come il carcere.
Il primo appuntamento è previsto per giovedì 30 giugno, a partire dalle ore 19.30, presso la Villa Comunale, nei pressi della statua di Giulio Cesare Vanini. Informazioni sul sito del Comune di Lecce
TITANIA - Responsabile Organizzazione Alessandra Pizzi: infotitania@yahoo.it

mercoledì 25 maggio 2011

Pillole di maternità: Sogni rimasti

Sogni rimasti



Poesia non si pensa
Lei sgorga da sola
Traveste di bianco l'aurora
Ridona senso al calore



Il tuo perduto dolore
Ti manca da oggi
Non puoi deridere i viaggi
Pensare che poi tu t'appoggi



Io non ti voglio rubare
A quella tua vita da fare
A quelle tue voglie d'amare
A ciò che spaventa qualcuno



Io sai che non sono nessuno?
Pendo da alberi esausti
Gioco di fogli distratti
Con sogni rimasti

Concorso- Pillole di maternità: La maternità di un uomo…perdersi in quella rotondità

La maternità di un uomo…perdersi in quella rotondità
La maternità, già la maternità! Io maschio mediterraneo, figlio del logos occidentale, che scrivo di essere madre. Gliel’ho detto a Ilaria che non posso scrivere di ciò che non è una mia esperienza diretta, ma lei ha insistito tanto. Pare che essere padre ti dia una sorta di lasciapassare, ti renda assimilato a una madre “con il corpo diverso”.
Ma non è così! E’ una donna che prepara il suo corpo per quel momento suggestivo che crea il mondo: il parto! Il mondo di quella donna, proprio il suo e nessun altro, da difendere, sviluppare per fare in modo che da esso continui la narrazione della realtà.
Un mondo è generato da quella rotondità di grande bellezza, da quella pancia che ha dentro quella cosa grossa che la riempie e che sei tu, sono io che poi diveniamo il mondo, il suo mondo.
Le vedi insieme, la madre e la figlia che diviene madre, insieme per inventare questo futuro che è già e non ancora. Una meraviglia infinita, gli occhi dolci, i lineamenti levi, i sorrisi rassicuranti della mia donna con quella cosa grossa nella pancia.
Una donna che cambia il suo corpo, che lo rende assolutamente desiderabile, fonte di suggestioni fortissime. Lei è preoccupata, si schernisce. Ma la ostenta la sua pancia, con fierezza, a tutti! Le hai viste mentre passeggiano? Adesso la lasciano anche scoperta, con l’ombelico che da un momento all’altro sembra debba parlarti, dirti che li dentro c’è qualcuno che per ora non ha nessuna intenzione di uscire e che con lei, la mamma, è un tutt’uno, ha raggiunto adesso la tanto agognata unità che poi sarà la ricerca di tutto il resto dell’esistenza.
La maternità, già! Una donna e un uomo uguali con il corpo diverso, un bambino che è dentro a quel corpo di donna, bello, rotondo, accogliente, soffice, sicuro, caldo, profumato. Il profumo che lasci sul cuscino e tra le lenzuola, il tuo profumo di donna e di mamma.
Quel profumo che annusavo quando mi facevi entrare nel lettone al mattino, al mio risveglio. Quel profumo che sentivo quando ti abbracciavo, e quando le tue parole dolci mi accarezzavano l’anima. Ti voglio tanto bene mamma.
Antonio Bruno

Pillole di maternità: Parole per volare

Parole per volare



Sono venuto di nascosto in quella strada fatta di rosso. Sono venuto da te una sera in cui non riuscivo a liberarmi della violenza che era avvenuta la mattina, quando uomini si sono sentiti minacciati e hanno reagito cercando rifugio nel pianto.

Mi sono seduto comodo, prima con le spalle rivolte alla finestra, poi con il volto rivolto verso l’immancabile Tv che è il camino di questi anni tristi, senza il fuoco, quello vero che scaldava il cuore e che coceva splendide minestre di verdure e civaje.

Tu hai i capelli lunghi, la voce smorfiosa e un bel sorriso con delle labbra che si schiudono per parlare di anima, di spirito e di invisibile. Tenti di sedurmi con la tua narrazione, con le tue conoscenze e con le letture comuni, quelle che hanno accompagnano l’età dell’inferno, quella della rivalità e della violenza che ti porta a distruggere tutto quello che non è come ti aspettavi che fosse, e quella che non si comporta come ti aspettavi si fosse dovuta comportare.

La violenza: una costellazione da cui si può uscire solo volando più in alto, verso l’infinito, verso le vette delle profondità dentro di noi.

Non mi piaci, eppure ti guardo, quello che dici mi sembra banale, ma ti ascolto ma completo il tuo dire frammentario, il tuo riportare quel sentito dire dell’altrui esperienza, quella tua aria di cercatrice che aspetta di trovare in una pagina ciò che è già dentro di lei.

Parli, tanto, sbadiglio, sono esausto, travolto da una giornata che non è finita come m’aspettavo finisse, che non aveva dato ciò che m’aspettavo mi dovesse dare, una giornata di sconfitta, quelle giornate che ti fanno ristendere contatto con te stesso.

Mi fai un regalo, mi dici che mi ami, che ti dispiace, mi preghi di perdonarmi e mi ringrazi. Me lo fai ripetere: ti amo, mi dispiace, ti prego, perdonami, grazie! Comincio a sentirmi leggero, volo in quella dimensione, il tuo sorriso mi fa star bene.

Mi alzo per andarmene e mi abbracci, mi stringi. Io a poco a poco, sento qualcosa, ti desidero. Cammino verso la porta e ti abbraccio ancora. Poi tento di baciarti ma mi dici che non senti di farlo. Ti guardo e ti dico che ti ho desiderata, e tu mi preghi di dirlo a me stesso: ti amo, mi dispiace, ti prego, perdonami, grazie! Lo faccio tutta la notte e sto continuando a farlo ancora adesso.



Antonio Bruno

domenica 22 maggio 2011

ll Femminile nelle Rivoluzioni, Lecce, Sedile, Piazza Sant'Oronzo, 21 maggio 2011





Il giornalista Luigi De Luca presenta l'autrice

L'autrice con il sindaco di Lecce


L'autrice Ilaria Guidantoni e l'organizzatrice Alessandra Pizzi



venerdì 20 maggio 2011



Anna e Franca, scriversi in una gabbia
Due ex terroriste a confronto

Una corrispondenza immaginaria scritta da Daniela Bini*

1988, Roma,Carcere di Rebibbia
Anna, ex membro delle Brigate Rosse, e Franca, ex membro dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, si ritrovano a condividere alcuni spazi comuni all’interno della prigione. Sono entrambe detenute politiche. Anna, per Franca, è “la comunista”; Franca, per Anna, è “la fascista”.
All’inizio, odio. Poi, diffidenza. Ben presto, curiosità. Si osservano restando a distanza, si scrutano, si studiano. Stanno lontane, ma sentono una specie di calamita che le attrae.
Passano i giorni.
Un pomeriggio, Franca rompe il silenzio. “Vuoi dei dolci? Sono buoni, assaggiali”.
Apre un cartoccio che le è stato consegnato dalla guardia e che le arriva da casa, dalla sua famiglia.
Anna è impietrita, bloccata, ma si fa coraggio. Allunga una mano, afferra rapida un biscotto, lo infila dritto in bocca, farfuglia un “grazie” mentre tenta di masticare un boccone che le pare enorme e secco, impossibile da deglutire.
“Non è male qui a Rebibbia. Si sta meglio che in altre carceri”.
Anna non può tacere, né far finta di nulla.
“Sì, è vero, non è male qui”.
Che cosa vuole da me?, si chiede Anna. Siamo su due fronti opposti e fa l’amicona. A suo tempo ci saremmo scannate! …….A suo tempo, già. Ma ora? Ha senso odiarsi? O ignorarsi? Forse ha ragione lei.
Chissà mai cosa vorrà ottenere restandosene lì, a guardarmi di traverso!, replica tra sé Franca. Certo se mi fosse capitata tra le mani un po’ di anni fa, con quell’aria da compagna irriducibile… Peccato che ora entrambe siamo ridotte a sopravvivere a noi stesse e a passare il tempo nello spazio ristretto e soffocante del carcere. Eppure, non riesce a dispiacermi del tutto.
Le settimane si susseguono. Anna e Franca parlano, della prigione, delle loro giornate, delle letture che fanno, degli studi con cui occupano il tempo alterato e dilatato della realtà penitenziaria. L’odio e la diffidenza lasciano spazio all’interesse reciproco, a una forma di trasporto dell’una verso l’altra che le avvicina sempre più, in un alterno scoprirsi e rivelarsi.
A poco a poco, lottando contro una forma di pudore che è tratto distintivo di chi sta in carcere e paga una pena, cominciano a parlare di sé, del loro passato, del peso che grava su di loro, delle morti che hanno provocato, dei motivi per i quali hanno scelto la lotta armata, della delusione che hanno procurato alle rispettive famiglie. Dei genitori, dei fratelli o delle sorelle, che spesso non hanno compreso, che hanno pagato con la sofferenza la separazione dalle amate figlie o sorelle per un ideale – ma di ideale si è trattato? o di un’illusione? -, della loro rinuncia a essere madri in nome della rivoluzione o per essere finite in carcere ancora giovani, troppo giovani.
Si stupiscono. Si stupiscono di dialogare tra loro – ancora fanno fatica a crederlo e poche compagne di carcere comprendono la particolare natura di questo anomalo rapporto - di avere punti in comune nella dolente e tragica storia delle loro esistenze, di constatare come gli opposti estremismi, per il fatto stesso di essere opposti ed estremismi, siano in realtà molto, molto vicini tra loro.
Di più: si stupiscono di creare nel tempo, nei giorni, nei momenti insieme, un rapporto di fiducia, stima e amicizia che trascende ogni ideologia e ogni partigianeria politica.
Si stupiscono di potersi aprire l’una all’altra ogni volta con sempre minori reticenze, con una disponibilità e uno slancio che paiono inconcepibili a loro stesse in primo luogo e che non vengono minimamente capiti e giustificati da chi sta “fuori” dal loro legame, dalle loro stesse compagne di prigionia, che non ammettono, nella rigida gerarchia del lecito e dell’illecito che in carcere è più drastica che nella vita normale, l’esistenza di un’amicizia insana, impossibile, forzata, patetica, paradossale; da chi, infine, non condivide il mondo spirituale e intimo di due donne che, una a “sinistra” e una “a destra”, hanno avuto un ruolo tragicamente importante e decisivo nella storia italiana degli Anni Settanta e Ottanta del Novecento.
Poi…la separazione. Anna può usufruire del regime di semilibertà. Franca deve restare in prigione.
Una “fuori”, l’altra “dentro”.
Restare fuori o dentro, tuttavia, non ha più alcuna importanza. Il legame tra loro è oltre le distanze e oltre la pena che devono subire, al di là di tutto ciò che possa in qualche modo tentare di dividerle e di allontanarle.
Anna, “Annetta” (come Franca la chiama) e Franca, “Mouse”, “il topolino” (nelle parole affettuose di Anna), sono ormai amiche. Comunicheranno tra loro attraverso lo strumento più antico, nobile e romantico del mondo: lo strumento epistolare.
Anna e Franca, lettere.
Anna – Caro “Mouse”, la vita fuori dalla prigione, da quel cerchio opprimente e rassicurante a un tempo, non è facile. Si respira e si soffoca, si lavora e si soffre, si affronta ogni giornata con determinazione e ottimismo e si conclude con stanchezza e paura. Non so se ce la farò a tornare nella vita comune. Mi sento debole, fuori posto, sempre seguita e perseguitata dalla mia ombra scura che mi ricorda chi sono stata e cosa tutti provano quando mi guardano. Penso spesso a te, a noi, alle nostre chiacchierate. Penso anche che tu sei ancora dentro, che stai aspettando una nuova sentenza che deciderà se sei colpevole o innocente per il capo d’accusa che pesa ancora oscuro su di te. Tu sai chi sei, sai che cosa hai commesso, conosci i tuoi sbagli e i tuoi errori, convivi con i tuoi fantasmi come me e sai che la vita non concede sconti. Ti sono vicina.
Franca – Cara Annetta, le tue lettere sono il miglior conforto che io possa avere in questi giorni, oltre al sonno che, però, spesso è tormentato e sconnesso, come i miei pensieri. Ho paura. Temo l’esito della sentenza. Temo di dover ancora accettare di essere il “mostro” che la stampa da anni descrive e getta in pasto alla gente. Sono un “mostro”? No. Mi sento piuttosto un resto, un avanzo di umanità che attende di sapere se sarà destinato alla sterilità perenne o alla speranza di una rinascita. Sì, ho ucciso. Sono colpevole di tutto ciò per cui sono stata accusata, ma non di quella orribile strage. Questo peso, no, non incombe né grava su di me. Non mi stancherò di ripeterlo, qualunque sia la sentenza che attendo.
La sentenza arriva. Confermato per Franca l’ennesimo ergastolo per la strage di uomini, donne, bambini compiuta in un giorno d’estate di trentuno anni fa.
Anna esce dalla prigione per andare a lavorare. Rientra la sera. Tra poco sarà libera e avrà scontato il suo debito con la giustizia.
Franca resterà in carcere fino al 2013.
Si scrivono ancora.
Sono ancora amiche.
Lo saranno per sempre.

*Professoressa di Lettere in un Liceo di Lecco e studio degli Anni di Piombo

giovedì 12 maggio 2011

Concorso: Pillole di maternità

Pillole di maternità

La maternità è ascoltare il mare da una conchiglia

La maternità è pensare oggi per il domani

La maternità è un esercizio di egosimmetria dove il nostro io si versa nel nostro ego

La maternità è un lungo canapo con cui speriamo di imbrigliare il futuro

Il desiderio di maternità è un vento impietoso
che sospinge la danza delle stelle
fino a dare un senso alla parabola del sole

La maternità è un frutto acerbo
che nasce dal rumore del desiderio
per maturare nel silenzio del chiostro del nostro intimo

La maternità è un dito
che oltre l'opaca placenta
sfiora il baluginare di Dio

La maternità è un placido ed immobile viaggio che porta l'Essere ad essere...
ad essere un germe che passa da una noiosa sequenza di atomi
alla consapevolezza del pensiero
per poi rotolarsi nell'umida e polverosa triaca dell'istinto
per distogliere il proprio respiro dal rantolare della vita

La maternità è soffermarsi a guardare il dito che indica la luna convinti che un giorno la potrà sfiorare

Ma la maternità è anche un affilato stiletto di cristallo
che ci coglie nel nostro dolore per tenerci vivi

La maternità è una crudele sottrazione tra i nostri sogni e il caso

La maternità è un pentolone da alchimista dove vi si getta le nostre aspirazioni e i nostri difetti

La maternità è una odorosa carrozza d'ebano tirata da neri destrieri dagli occhi insanguinati

La maternità è la vita che ci travolge sconvolgendo il nostro moto vettoriale facendoci particella indeterminata dei nostri sogni

Udm (un uomo la racconta)

martedì 10 maggio 2011

La rivoluzione scende on line

La rivoluzione scende on line
Sulla piazza virtuale

Ilaria Guidantoni ospite sul blog di Alfredo Cafasso




Bolle di libertà: le mille strade dei social-ferments sul web
Di
Alfredo Cafasso Vitale
– 16 aprile 2011Postato in: Senza categoria


Alfredo Cafasso Vitale Ingegnere dell’Informazione e giornalista pubblicista. Opera da molti anni, nella consulenza, nella produzione di contenuti e nella formazione, anche universitaria, in ambiti legati all’innovazione tecnologica, i New Media e la comunicazione. Vicepresidente del Comitato Nazionale Ingegneri dell’Informazione (CNII), coordina le attività della Commissione New Media, Tecnologie e Comunicazione dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Napoli. Ha vissuto a lungo in Francia, ed oggi divide il suo tempo tra Napoli e Berlino.

Un ottantatreenne professore bostoniano, Gene Sharp, fondatore della Albert Einstein Institution, insegnante di scienze politiche all’University del Massachusetts a Dartmouth, relatore a seminari di Harvard, autore del pamphlet: “Dalla dittatura alla democrazia”, sembra avere un ruolo non secondario in quanto accaduto in Nord Africa negli ultimi mesi.

Gene Sharp
Il suo messaggio, colto nella sua totalità dai ribelli egiziani e tunisini, aveva gettato semi in Egitto dove, qualche anno fa, il Centro Internazionale sul Conflitto Non-violento, tenne un workshop al Cairo. Tra il materiale distribuito allora, c’era il suo paper “198 metodi di azione non violenta”.
La blogger ed attivista egiziana, Dalia Ziada, che partecipò al workshop, e poi organizzò sessioni analoghe in autonomia, ha dichiarato che attivisti che avevano seguito questi seminari erano presenti nell’organizzazione di entrambe le rivolte in Tunisia ed Egitto. Del resto le idee di Sharp, avevano guidato già i movimenti in Bosnia, Estonia, Myanmar e Zimbabwe.
Sharp non ha un profilo Facebook, e non usa, se non quando deve proprio, l’e-mail.Per questo la sua assistente ha predisposto istruzioni manoscritte vicino al suo Mac. Ma il suo messaggio e la sua introspezione nella società e nelle dinamiche del potere sociale si sono propagate sul web, via blogs e social networks, con una penetrazione che prima dell’esistenza di questi media era inimmaginabile.
È per questo che Internet viene considerato un pericoloso avversario politico, anche nel nostro Paese, che non a caso non ne finanzia l’infrastruttura.
I regimi totalitari, come quelli Nord Africani, guardano allo sviluppo della politica partecipata in rete con terrore, non esistono infatti scorte o blindature che possano salvare un rais dalla valanga di messaggi, documenti, foto ed immagini, che la rete è capace di generare.
In realtà, questi regimi autoritari, la Cina in primis, riescono ad operare (o quantomeno ci provano), un controllo sull’accesso a contenuti ritenuti “sensibili” con una gamma differenziata di strumenti che vanno dalla messa al bandodelle realtà ritenute più pericolose ( operando sugli IP dei siti principali e di quelli mirror), attraverso l’inserimento in una black list permanente o temporanea. I provider, che in questi paesi sono spesso vicino ai regimi, attuano procedure di esclusione di chi è incluso nell’elenco. La censura può prevedere anche il metodico tracciamento di chi raggiunge siti off-limits, esegue ricerche con parole chiave “pericolose”, o pubblica sui social network contenuti sgraditi. La schedatura, non difficile, viene spesso integrata dalla mappatura relazionale dei soggetti in reciproco contatto.Alcuni di questi sistemi sono bypassabili, da chi conosca l’IP del web di interesse, o imposti i propri browser a servirsi di DNS stranieri, diversi da quelli in automatico forniti dal server.
Del resto anche realtà come Google, non sono scevre da questi meccanismi di censura e schedatura, clamorosi qualche anno fa quelli operati in Cina.
Ma proprio un manager di Google, Wael Ghonim, di origini egiziane, è rientrato dagli USA nel suo Paese per partecipare a quella da lui definita Rivolta 2.0. Il regime ha arrestato Ghonim, ma il popolo di Twitter ha internazionalizzato l’evento, al punto che qualche settimana dopo Wael è stato rilasciato. Il regime ha reagito chiudendo il “rubinetto” ad Internet, operando cioè una drastica riduzione di banda, ma la Rivoluzione 2.0, è continuata sui cellulari, via sms, e quando anche le potenze di queste reti sono state ridotte, altre contromosse sono state studiate, fino alla vittoria della piazza Tahrir.
Si sta aprendo un fronte, per i social media come Facebook, Twitter, Flickr e Youtube: come lasciar spazio al loro crescente uso per scopi politici, salvaguardando la neutralità e conservando le pratiche e le policies che hanno reso famosi questi strumenti al loro nascere.
Bisognerà pensare alla creazione di regole ed ai meccanismi di applicazione, che possano facilitare gli attivisti in un utilizzo “proprio” di questi media. Spesso, tra l’altro, i contenuti non sono proprietari, si pensi al caso di Sharp, presentato in apertura di questo post, e non tutti sono entusiasti come Sharp dell’utilizzo che si fa dei propri contenuti a fini politici.
Tag: bolle, dei, di, fermenti, le, mille, socialferments, strade, sul, web

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A NOI LA PAROLA. IT: DONNE E RIVOLUZIONE, GUERRIERE E TERRORISTE

A NOI LA PAROLA
DONNE E RIVOLUZIONE, GUERRIERE E TERRORISTE.
in ARTE & CULTURA by ANoiLaParola — 6 maggio 2011 at 09:17 | 0 comments
INTERVISTA CON LA PROFESSORESSA DANIELA BINI ALLA VIGILIA DELLA GIORNATA PER LE VITTIME DEL TERRORISMO.
DI ILARIA GUIDANTONI
Come nasce l’idea di un dibattito su Milano, città duramente e simbolicamente colpita dal terrorismo, all’indomani delle celebrazioni in tema?
Tra l’altro l’attualità vive un momento delicato di rilettura del femminile reificato da moda e politica, costume e società in caduta libera di valori. In tale contesto sta nascendo una nuova forma di lotta armata o gentile, informatica, una nuova protesta declinata in rosa.
“Una riflessione sul 9 maggio e sulla giornata della memoria per le vittime del terrorismo non può non comprendere Milano, una città che è stata spesso colpita da bande e associazioni terroristiche e che ha visto negli anni Settanta e Ottanta anche attacchi contro personaggi pubblici che hanno lottato apertamente contro ogni forma di violenza e di terrore: penso a Indro Montanelli, gambizzato dalle Br il 2 giugno 1977 e penso a Walter Tobagi, assassinato da una banda di estrema sinistra il 28 maggio 1980. Le immagini d’epoca di Milano invasa dai cortei, con il cielo ancor più grigio per i lacrimogeni della polizia e delle forze dell’ordine, con giovani che impugnano armi e indossano passamontagna, fanno ogni volta un certo effetto: molte fotografie, compresa quella famosa, divenuta il simbolo degli “anni di piombo”, che inquadra il giovane Giuseppe Memeo che a gambe piegate spara durante una manifestazione nel 1977, parlano da sole più di qualunque analisi storica e mostrano una Milano attraversata dal vento della contestazione e della violenza. Oggi, trascorso molto tempo da allora, a Milano come in Italia certo non viviamo più negli “anni di piombo” e nella cosiddetta “strategia della tensione”, ma le forme di violenza esistono e sono ancora numerose, talora anche striscianti e subdole. I valori e i principi della democrazia vengono insidiati ogni giorno e talvolta anche un gesto o una parola possono minare le basi della convivenza civile. Io credo che la donna e la componente femminile della società possano far sentire la propria presenza e la propria voce in modo diverso da quello a cui, negli ultimi tempi, la stampa e i media in generale hanno dato risalto.”
Ma tornando agli Anni di Piombo, cosa si può salvare? Cosa invece condannare senza prova d’appello?
“Di quegli anni, degli anni Settanta, e di tutti quei periodi della storia in cui i grandi ideali sono stati perseguiti con la lotta armata, io salverei i principi e la forza con cui ci si è battuti per realizzarli, non certo lo strumento utilizzato. Sono sempre più convinta che la vera arma da usare oggi sia quella della parola: Roberto Saviano ce lo insegna ogni giorno con il suo esempio. Scrivere, parlare per denunciare, per non tacere, per mostrarsi indignati e non sottostare alle forme di brutale violazione delle dignità umana a cui oggi sempre più spesso assistiamo è un dovere morale. Ciò che mi ha sempre impressionata nei racconti delle donne che hanno intrapreso la lotta armata è stata la determinazione con cui hanno perseguito uno scopo, la rinuncia a ogni forma di rassegnazione, la volontà di agire fuori dal coro, fuori da ogni forma di passività sociale. Credo che questo vada salvato. Ma credo anche che la violenza debba essere evitata a ogni costo: le armi non risolvono le questioni – la storia ce lo insegna fin troppo bene – ed è necessario, oggi più che mai, rispondere con il dialogo e con il confronto, ma anche con la volontà di modificare la direzione che ha preso la nostra società. La donna può e deve dare un esempio di dignità, di forza positiva, di intelligenza. L’aggressività è da condannare, così come è da condannare ogni forma di estremismo; la determinazione è da salvare a tutti i costi, anzi, direi da recuperare.”
Come cambia la lettura degli accadimenti e dei comportamenti all’interno di un’operazione di contestualizzazione?
“Bisogna, a mio giudizio, contestualizzare sempre: studiare oggi gli anni Settanta e la scelta femminile della lotta armata significa calarsi in un momento storico e politico diverso da quello odierno e coglierne le inevitabili diversità. Solo con l’obiettività e il distacco critico si può pensare di analizzare senza pregiudizi o prevenzioni quel periodo, per molti aspetti ancora scomodo per gli italiani e non facile da metabolizzare. D’altro canto, per comprendere il nostro presente, io sono sicura che si debba passare attraverso quegli anni, senza timori, senza vergogna, senza preconcetti, perché se è vero che noi siamo figli di chi ci ha preceduto, è ancor più vero che noi siamo i figli degli “anni di piombo”, che hanno segnato la storia del nostro Paese. Può non piacerci, può risultare per noi difficile da accettare, ma è così. Contestualizzare, dunque, ci serve sia per affrontare con equilibrio l’analisi di quegli anni sia per valutare con altrettanto equilibrio il nostro presente. Significa, in sostanza, comprendere che la donna che lotta negli anni Settanta e la donna di oggi sono diverse, ma non estranee l’una all’altra: rifiutare di capire le loro motivazioni e le loro scelte vuol dire, per noi donne di oggi, rinunciare a comprendere una parte di noi.”
Come ne esce la donna dalla lotta armata?
“Quando la donna imbraccia un’arma e spara, uccide, ferisce, nega la vita. Anche per un uomo è così, ma per la donna, datrice di vita, la questione è più complessa e articolata. L’immagine di donna che esce da un’esperienza armata – penso alle terroriste rosse e nere degli “anni di piombo” – è quella di una donna sconfitta, ripiegata spesso in se stessa, frustrata nei suoi ideali e, per di più, con un peso immane da sopportare, quello delle morti che ha provocato. La società guarda a lei come a una reietta, una da condannare senza sconti, una da escludere dal consesso civile. Una a cui deve essere negata anche la possibilità della parola. Una donna che ha agito in nome di ideali e che poi si ritrova a essere esclusa proprio da quella società in nome della quale e per la quale ha combattuto è sconfitta due volte: perché non ha ottenuto gli ideali cui aspirava e perché non ha capito di agire senza l’appoggio della società che la circondava. Una donna, al contrario, come quelle tunisine, che si batte andando in piazza a manifestare per i propri diritti fornisce di sé un’immagine positiva, perché fa sentire la forza delle idee senza ricorrere alla violenza dell’azione. In questo caso ne esce bene, rinforzata umanamente e socialmente.”
Ritiene che la donna sia cresciuta con questa esperienza? O invece ha perso qualcosa? O si è persa?
“Riferendomi ancora a quanto letto nelle testimonianze di ex terroriste, posso affermare che ogni donna che ha intrapreso la lotta armata è cresciuta: lo si comprende dalle parole che ciascuna di loro scrive, dalle riflessioni, spesso molto profonde e tormentate, che tutte svolgono su se stesse e sulla scelta fatta. Per molte di loro il carcere, pur nella durezza dell’isolamento e della solitudine, ha rappresentato un lungo momento di totale confronto intimo e personale: anni di carcerazione hanno coinciso con studi, letture, analisi sociali e politiche, e con inevitabili e direi necessari riferimenti all’esperienza vissuta in prima persona. Il senso di sconfitta c’è, chiaramente espresso, per ognuna di queste donne. Il senso di perdita interiore, quando è presente, si unisce disperatamente alla volontà di non farsi trascinare nel baratro dell’annullamento di sé, della totale sterilità, della sensazione di avere solo distrutto e non aver costruito nulla. La lotta tra l’annichilimento e la volontà di guardarsi allo specchio senza provare disprezzo di sé si legge con chiarezza tra le righe delle loro testimonianze. Forse questo intricato groviglio di sensazioni spiega anche la ragione per cui molti ex terroristi, donne ma anche uomini, oggi operano nel sociale, tentando di aiutare persone che si trovano in difficoltà e in condizioni disagiate: un’attività che li fa sentire utili, concreti, finalmente parte positiva di una società che li ha esclusi per le loro colpe. Come nel caso della rivoluzione tunisina, rappresenta una chiave di analisi singolare del femminile. Il punto che sottolineerei è l’ambiguità e la contraddizione tra grandi ideali e cattive pratiche di violenza”.

AFFARI ITALIANI.IT: Torna il mito della donna guerriera Di Virgilia Perini INTERVISTA DOPPIA DI AFFARI ITALIANI.IT (Daniela Bini e Ilaria Guidantoni)

AFFARI ITALIANI.IT
COOL-TURA

Torna il mito della donna guerriera
Giovedí 05.05.2011 14:00
di Virginia Perini

Donne in piazza, la voce controcorrente della filosofa Valeria Ottonelli
Laura Boella: "Il problema sono le donne di oggi". L'INTERVISTA
"Il nuovo femminismo? Non è bigotto e si occupa dei diritti di chi per scelta esibisce il proprio corpo, come le Sex Workers in Germania e Usa". Il filosofo Simone Regazzoni, autore anticonformista che nel libro Pornosofia ha analizzato le dinamiche della rappresentazione del corpo, commenta con Affari, il tema della bellezza, tra filosofia e femminismo. INTERVISTA

Non solo belle. Non solo intelligenti. Le donne sono anche delle ottime guerriere. Il femminile nelle rivoluzioni (violente o pacifiche) è al centro del pensiero della scrittrice e storica Daniela Bini e della giornalista Ilaria Guidantoni. La loro riflessione parte dalla storia: il fenomeno del terrorismo ha visto le donne protagoniste come braccio armato; altre esperienze come la rivoluzione tunisina le ha viste come ancelle di pace in funzione di sedatrici della rivolta del sangue ma fortemente battagliere come e più degli uomini per certi versi all'interno di un'ambiguità che racconta la complessità del femminile e delle donne.
L'INTERVISTA DOPPIA DI AFFARITALIANI.IT
La donna guerriera è una figura quasi mitologica, in che modo le donne sono guerriere?
Daniela Bini - "La donna guerriera ha illustri rappresentanti nella mitologia, nella letteratura e anche nella storia: dalle Amazzoni e dalle Valchirie alla vergine Camilla descritta nell'Eneide, da Bradamante e Clorinda, le sui vicende sono narrate nei poemi di Ariosto e Tasso, fino ad arrivare a Giovanna d'Arco, alle eroine del Risorgimento italiano, alle guerrigliere partigiane della Resistenza, alle donne terroriste degli anni Settanta. Le donne possono essere guerriere in due modi: perché imbracciano realmente un'arma oppure perché lottano per perseguire uno scopo nella vita".

Ilaria Guidantoni - "Nella tradizione è così, basti pensare alle Amazzoni e la donna guerriera, non necessariamente legata alla guerra, è trasfigurata nella sua femminilità. In effetti la maternità e l'essere guerriero formano un ossimoro ma solo se a quest'ultimo si associa il significato della lotta armata. In fondo la maternità è una lotta per la vita che soprattutto nell'antichità è stata spesso una guerra. Non a caso nell'immaginario psicanalitico accanto alla madre nutrice e custode del focolare, c'è la mamma tigre che ferisce per difendere i cuccioli".


Le donne sono guerriere anche oggi dunque?
Daniela Bini - "Oggi ancora di più: esistono donne che lottano nel senso effettivo del termine e che fanno parte di eserciti regolari e donne che lottano con altri strumenti, non aggressivi ma ugualmente potenti. Mi riferisco alle scrittrici, alle giornaliste, ai medici, ai magistrati, alle donne che dirigono aziende, che ricoprono ruoli politici, che sono costrette a conciliare la professione con il diritto irrinunciabile di essere madri e di avere una vita privata, a quante ogni giorno devono combattere per salvaguardare i propri spazi e per conquistarsi un ruolo sociale dignitoso".

Ilaria Guidantoni - "Oggi più di ieri perché sono equiparate all'uomo in molte professioni e l'arma è meno tabù; ma anche perché la guerra cibernetica - scoperta con la recente rivoluzione tunisina, la rivoluzione dei gelsomini - consente una guerra gentile che più si adatta alle donne. Le proteste nello Yemen mettono bene in luce la forza femminile del guerriero interiore che non fa leva sul potere e sull'offesa. E' un atteggiamento iscritto nell'essere femminile più abituato allo scavo interiore e alla sopportazione del dolore. Anche nella rivoluzione tunisina, come scrivo nel mio pamphlet "I giorni del gelsomino", il ruolo delle donne è stato determinante".


Chi sono le "guerriere" di oggi?
Daniela Bini - "Sono le donne africane, che lottano contro la fame e contro le torture sessuali e per difendere i propri figli, vittime degli squilibri sociali ed economici del pianeta; le donne tunisine, che combattono per migliorare le proprie condizioni, umane, politiche e sociali, dopo la rivoluzione; le donne iraniane e afghane, che hanno il coraggio di far sentire una voce contro i soprusi che devono subire dagli uomini; le donne occidentali, che pretendono una parità con l'uomo fatta di rispetto reale e non solo proclamato a parole; le donne gay, che esigono tutela dei propri diritti; le donne che si fanno strada in campi ancora tradizionalmente considerati di pertinenza maschile; tutte le donne che si battono per la libertà". Ci sono esempi di donne guerriere che la società considera negativamente? "Le terroriste degli anni Settanta incarnano un'idea oscura e inquietante di donna guerrigliera, che pur lottando per un ideale uccide a sangue freddo e in modo premeditato, che vive in regime di clandestinità e rinuncia volontariamente a un'esistenza cosiddetta normale. Una donna, questa, che suscita interesse, curiosità e insieme disprezzo, proprio per l'immagine fuorviante di donna che evoca, ma che meriterebbe tuttavia, per evitare approssimazioni e giudizi affrettati, un'accurata analisi storica e psicologica".
Ilaria Guidantoni - "Sono soprattutto madri, diversamente forse da quelle della lotta armata e dal femminismo tradizionale, che si battono per i propri uomini e per i propri figli, che lottano per la difesa dei deboli. Pensiamo alle Madri di Plaza de Mayo simbolicamente".
Mi fa due nomi di simboli della lotta femminile oggi?
Daniela Bini - "Aung San Suu Kyi, che si batte per la libertà della Birmania sacrificando se stessa e la propria esistenza. Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 per aver difeso i diritti negati del popolo ceceno e aver osato sfidare la Russia. Due esempi che tutte le donne dovrebbero tenere a mente".
Ilaria Guidantoni - "Scelgo due nomi non noti al grande pubblico perché sono persone che ho conosciuto e perché di quelle famose sappiamo tutto. Una è la scrittrice marocchina Fathima Mernissi che è scesa anni fa in piazza per la prima volta già grande con una carovana civile della solidarietà in nome dell'integrazione tra i popoli e del rispetto tra le religioni che ho incontrato al Festival della Letteratura di Mantova. L'altra a Sana Ben Achour, presidente dell'associazione tunisina donne democratiche, che ho incontrato a due mesi dalla rivoluzione del 14 gennaio e che sta conducendo una battaglia per la dignità nel segno del femminile e non del femminismo, con grande umiltà".
E la seduzione è un'arma per lottare?
Daniela Bini - "La seduzione è un'arma per amare. Una donna che seduce con lo scopo di utilizzare il corpo per ottenere successo professionale, ricchezza o potere non seduce, bensì umilia se stessa e la propria dignità. Una donna che appare seducente perché è intelligente, sensibile, capace, combattiva, affascinante, ma che non usa tale fascino per scopi opportunistici, è una donna che valorizza se stessa e le proprie potenzialità. Una donna che seduce perché ama è una donna che in modo libero e volontario esercita la seduzione nell'intimità del rapporto con il suo compagno".
Ilaria Guidantoni - "Può esserlo, ma rischia di essere un'arma a doppio taglio e può essere sempre criticabile dall'esterno. Credo che le donne siano piuttosto sedotte loro stesse dalla lotta e a volte rischiano di innamorarsi del fatto di diventare guerriero, o di innamorarsi di un guerriero tanto da volerlo fiancheggiare, perdendo di vista i valori per i quali si lotta. E cosi facendo si perdono".
Che cosa chiederebbe alle donne di oggi?
Daniela Bini - "Di avere dignità personale, di studiare, di avere una professione che le soddisfi e le gratifichi, di non rinunciare alla propria femminilità, di essere madri e mogli senza venir meno alle proprie esigenze e ai propri bisogni, di impegnarsi culturalmente, socialmente e politicamente per dare segnali concreti di miglioramento. Lo spirito combattivo delle donne oggi non dovrebbe più esprimersi attraverso le armi e la violenza, ma attraverso la forza dell'intelligenza, della cultura e del dialogo".
Ilaria Guidantoni - "L'utopia di non ripetere gli errori della storia. Di non perdersi appunto nell'innamoramento della guerra; di non abicare al femminile che è quello che stanno facendo le donne tunisine: dimostrare che si può fare una rivoluzione senza sangue, ascoltando anche la parte avversa e non opponendosi in modo pregiudiziale; di evitare che le armi prendano il sopravvento sulle ragioni della guerra, con una concretezza e buon senso che è più femminile ma non necessariamente di una donna. Infine di restare unite che è quello che spesso manca. Ancora una volta voglio ricordare le parole di Sana Ben Achour, "Insieme nella rivoluzione, insieme continuiamo", perché la vera guerra è nella quotidianità e fuori dal campo di battaglia. Ma vuol dire anche un'altra cosa: insieme agli uomini non solo quando serve ai maschi contro il nemico, per cacciare un dittatore - se vogliamo restare nell'attualità - ma anche dopo quando ci si spartisce il bottino, il potere e si devono fare le riforme".
Un viaggio nel “Femminile Armato”
Ieri e oggi, vicino e lontano: quando le donne entrano in guerra

Dagli Anni di Piombo alla Rivoluzione tunisina: una lotta al femminile

Ilaria Guidantoni, Giornalista e Scrittrice
Intervista
Daniela Bini

Studio legale Legal Alliance Corso Italia, 9 Milano - I Piano

Martedì 10 Maggio 2011

Ore 18.30
Daniela Bini
Nata a La Spezia, frequenta il Liceo Classico nella sua città. Studia e si laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Pisa. Vive per molti anni a Milano, dove insegna lettere in scuole paritarie; entra nel sistema scolastico statale nel 2001. Oggi vive a Monza e insegna lettere al Liceo Scientifico “G.B. Grassi” di Lecco. Ha collaborato, per la revisione e la correzione di testi scolastici, con l’editore Bompiani. Ha cominciato a studiare il fenomeno delle donne nella lotta armata degli anni Settanta sia per ragioni storiche – “Nutro un profondo interesse per quel periodo storico, che a mio avviso costituisce un discrimine importante per la storia italiana” - sia per ragioni personali - “Mi affascina e mi incuriosisce l'idea di una donna che intraprende una lotta armata e che, per questo fine, rinuncia a una vita cosiddetta "normale" per votarsi alla rivoluzione”.

Ilaria Guidantoni
Giornalista politico economico e Scrittrice, si è dedicata soprattutto ai trasporti ed infrastrutture, esperta di sicurezza stradale. Fiorentina, una laurea in filosofia teoretica a Milano; vive prevalentemente a Roma. Ha conseguito il Corso di Perfezionamento in Bioetica occupandosi di problemi legati alla corporeità, disturbi del comportamento alimentare e disagi affettivi; Cura la rubrica Politica e infrastrutture su “leStrade”. Consulente di molte istituzioni. Autore tra l’altro de’ “O giorni del gelsomino”, (P&I Edizioni, Febbraio 2011)

Col fiato sospeso Aspettando il risveglio del sassofonista della Slammer Band di Edoardo Inglese


Col fiato sospeso
Aspettando il risveglio del sassofonista della Slammer Band

di Edoardo Inglese

Ho letto questo libro perché ho conosciuto l’autore, Edoardo Inglese, laureato come me in filosofia e con un mestiere creativo nel senso che se l’è inventato e non ha un nome riconducibile ad una classifica, più o meno come è successo a me. Edoardo Inglese, con il quale condivido anche l’età, è laureato in filosofia estetica, una nutrita cultura cinematografica, cantante e musicista, oggi scrittore ‘involontario’, ha realizzato il format RadioLivres, la prima radio dal vivo che è l’occasione per la quale l’ho conosciuto.
Ho scoperto così che anche il suo primo libro parlava di sicurezza stradale, ma certamente in modo molto diverso dal mio saggio, in stile musicale.
E’ nata così la curiosità di leggere “Col fiato sospeso”, il diario implacabile di una tragedia, quella di un incidente stradale – l’impatto tra una bicicletta guidata dal protagonista e un camion - e un quasi racconto surreale della forza dell’amicizia, del pensiero e, soprattutto, della musica, uno dei protagonisti di questo racconto quasi involontario e sui generis. Il racconto è involontario, come ci spiega lo stesso autore, nel senso che nasce da un blog tra amici sparsi in vari paesi e del quale conserva tutta l’immediatezza, talora sgrammaticata e irriverente, che diventa la rete della solidarietà e del conforto per l’amico comune, in coma, il sassofonista e percussionista della Slammer band che ha comunque accettato la pubblicazione, mettendosi a nudo nella fragilità della malattia, un atto che trovo di grande coraggio e umiltà.
E’ una storia tragicamente vera ma è anche un laboratorio terapeutico, quello che offre la scrittura emozionale al dolore, che da disperazione e rabbia, diventa proposta ed empatia, soprattutto se condivisa. E’ un racconto che nella sua forma è ad un tempo contenuto: la testimonianza della forza dell’affetto e della creatività che si intreccia con la grande protagonista del libro la musica che è terapia, vita, linguaggio universale e immediato, elemento unificatore soprattutto nei momenti drammatici. Eppure sono pagine nelle quali non si avverte la tristezza che è esorcizzata da una voglia di vivere che tracima, che sprigiona energia ed ironia come grande arma per affrontare il quotidiano ed ha qualcosa del delirio di onnipotenza adolescenziale. Facendo un po’ di calcoli, i protagonisti sono più che trentenni ma sembrano molto più giovani forse perché la musica mantiene giovani. E mi sono divertita a cercare il filo che mi raccontasse la programmazione di un’estate romana musicale cercando anche di cogliere tendenze e gusti di un gruppo di musicisti, un lavoro sotterraneo e prezioso, messo insieme con spontaneità e freschezza senza nessuna voglia di esibizione, quello di Edoardo che racconta le avventure di essere musicisti ‘non raccomandati’ se non dalla qualità.
La presentazione è di Fulvio De Nigris, Direttore del centro Studi per la Ricerca sul Coma “Gli Amici di Luca” di Bologna ed evidenzia che il coma del protagonista, Maurizio De Antonis in Parnaselci, detto “Pasticcio”, in quanto malattia è comunque un elemento di vita, “nel momento in cui si palesa. In fondo è un indicatore…il coma ti solleva e ti sospende, ti sottrae a un impatto che comunque per sé e forse anche per gli altri sarebbe stato gravoso. E’ comunque una via d’uscita”.
Certo sono parole dure da metabolizzare che se da un lato aprono alla speranza, alla necessità forse di trovare una ragione al dolore, dall’altra sconcertano. In effetti, De Nigris, leggendo questa storia di una tragedia e di un miracolo – sono le parole di Edoardo – dice che è l’attesa con il fiato sospeso, appunto, di un miracolo che potrebbe non arrivare e che mette a nudo la vita che a volte promette morte.



“Pasticcio” è il soprannome del protagonista ed è anche la forma letteraria, una somma spuria di tanti generi a loro volta non etichettabili che perdono i confini nella scrittura del blogger ed è anche il titolo del cd allegato. Un libro da leggere, ascoltare e sentire come una terapia per perdersi e ritrovarsi dalla strada così familiare, ad un corridoio d’ospedale, fino alla resurrezione su un palcoscenico per un concerto.


Col fiato sospeso
Aspettando il risveglio del sassofonista della Slammer Band
di Edoardo Inglese
Erickson Narrativa
17,50 euro
Allegato CD Audio “Il pasticcio”

martedì 3 maggio 2011

A NOI LA PAROLA - UN VIAGGIO NEL “FEMMINILE ARMATO" IERI E OGGI, VICINO E LONTANO: QUANDO LE DONNE ENTRANO IN GUERRA

A NOI LA PAROLA
UN VIAGGIO NEL “FEMMINILE ARMATO” IERI E OGGI, VICINO E LONTANO: QUANDO LE DONNE ENTRANO IN GUERRA.
in EVENTI by ANoiLaParola — 2 maggio 2011 at 15:50 | 0 comments

DAGLI ANNI DI PIOMBO ALLA RIVOLUZIONE TUNISINA: UNA LOTTA AL FEMMINILE.
ILARIA GUIDANTONI, GIORNALISTA E SCRITTRICE INTERVISTA DANIELA BINI.

Martedì 10 Maggio 2011, Ore 18.30
Studio legale Legal Alliance Corso Italia, 9 Milano – I Piano
Al centro della conversazione il ruolo delle donne e del femminile nelle rivoluzioni e rivolte sia in guerra sia in pace. Il fenomeno del terrorismo ha visto le donne protagoniste come braccio armato; altre esperienze come la rivoluzione tunisina le ha viste come ancelle di pace in funzione di sedatrici della rivolta del sangue ma fortemente battagliere come e più degli uomini per certi versi. E’ un’ambiguità che racconta la complessità del femminile e delle donne.
Daniela Bini ha cominciato a studiare il fenomeno delle donne nella lotta armata degli anni Settanta sia per ragioni storiche – “Nutro un profondo interesse per quel periodo storico, che a mio avviso costituisce un discrimine importante per la storia italiana” – sia per ragioni personali – “Mi affascina e mi incuriosisce l’idea di una donna che intraprende una lotta armata e che, per questo fine, rinuncia a una vita cosiddetta “normale” per votarsi alla rivoluzione”.
In realtà tutto è nato per caso, dalla lettura di un romanzo di Francesca Marciano, “Casa rossa”, che le era stato suggerito alcuni anni prima da un’amica, romanzo in cui si narra la storia di due sorelle, una delle quali intraprende la lotta armata nel periodo degli “anni di piombo”.

Daniela Bini ha vissuto gli anni dal 1978 al 1982 al liceo, in Liguria e ricorda con molta chiarezza che ancora si respirava l’ultimo vento degli anni Settanta. Sono i ricordi a farle muovere i primi passi nella lettura di libri scritti da ex terroriste (Barbara Balzerani, Anna Laura Braghetti, Francesca Mambro, Adriana Faranda, di sinistra come di destra) e anche da donne che, in modo diverso,hanno subìto gli effetti degli “anni di piombo” (Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter, assassinato da un commando di estrema sinistra nel 1980, oppure Anna Negri, figlia di Toni, che ha vissuto un’adolescenza all’ombra di un padre molto scomodo).
Gli uomini vivono, le donne sentono e la partecipazione alla lotta in nome di ideali si può condurre a livelli diversi: il momento storico e la latitudine non contano.

Daniela Bini Nata a La Spezia, frequenta il Liceo Classico nella sua città. Studia e si laurea in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Pisa. Vive per molti anni a Milano, dove insegna lettere in scuole paritarie; entra nel sistema scolastico statale nel 2001. Oggi vive a Monza e insegna lettere al Liceo Scientifico “G.B. Grassi” di Lecco. Ha collaborato, per la revisione e la correzione di testi scolastici, con l’editore Bompiani.

Ilaria Guidantoni Giornalista politico economico e Scrittrice, si è dedicata soprattutto ai trasporti ed infrastrutture, esperta di sicurezza stradale. Fiorentina, una laurea in filosofia teoretica a Milano; vive prevalentemente a Roma. Ha conseguito il Corso di Perfezionamento in Bioetica occupandosi di problemi legati alla corporeità, disturbi del comportamento alimentare e disagi affettivi; Cura la rubrica Politica e infrastrutture su “leStrade”. Consulente di molte istituzioni. Autore tra l’altro de’ “I giorni del gelsomino”, (P&I Edizioni, Febbraio 2011).

www.ilariaguidantoni.com – www.ilchiasmodelleidee.blogspot.com
studio Legal Alliance: 02.89052659; segreteria@leg-alliance.com

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", 16 maggio 2012, libreria N'Importe Quoi, Roma

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", 16 maggio 2012, libreria N'Importe Quoi, Roma
Ilaria Guidantoni insieme all'attore teatrale Giuseppe Bisogno, che ha curato le letture, e al musicista Edoardo Inglese, autore di una selezione di brani musicali

"Tunisi, taxi di sola andata" a Milano, 19 aprile 2012

"Tunisi, taxi di sola andata" a Milano, 19 aprile 2012
Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata a Milano", libreria Milano Libri. Insieme all'autrice, Ilaria Guidantoni, il presidente del Touring Club Italiano, Franco Iseppi, e Laura Silvia Battaglia, inviata esteri di Avvenire. Letture a cura dell'attore Michele Mariniello

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", libreria N'Importe Quoi di Roma, 13 aprile 2012

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", libreria N'Importe Quoi di Roma, 13 aprile 2012
Ilaria Guidantoni ospite di RADIOLIVRES, con Vittorio Macioce, caporedattore de' Il Giornale, ed Edoardo Inglese,"musicante", in una serata di parole e musica

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso il Rotary Club di Marina di Massa, 29 marzo

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso il Rotary Club di Marina di Massa, 29 marzo
L'autrice tra Lorenzo Veroli, il Segretario del Club e Chiara Ercolino

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso la libreria Griot di Roma, 28 marzo 2012

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso la libreria Griot di Roma, 28 marzo 2012

Presentazione "Tunisi, taxi di sola andata", Roma, Sala stampa Camera dei Deputati, 28 marzo 2012

Presentazione "Tunisi, taxi di sola andata", Roma, Sala stampa Camera dei Deputati, 28 marzo 2012
Insieme all'autrice, Ilaria Guidantoni, l'on. Elisabetta Zamparutti (Radicali Italiani) e il giornalista tunisino Salah Methnani, inviato di Rainews24

Giovedi 1° marzo 2012, alla Centrale Montemartini di Roma, dalle ore 18.30 presentazione di "365D"

Giovedi 1° marzo 2012, alla Centrale Montemartini di Roma, dalle ore 18.30 presentazione di "365D"
Marzia Messina, ideatrice del progetto e realizzatrice per "Prima che sia buio" della foto dell'autrice

Il fotografo di 365D Sham Hinchey

Il 29 agosto di 365D

Con Raffaella Fiorito, mia vicina di calendario

Presentazione di "Prima che sia Buio", Galleria d'arte Barbara Paci, Pietrasanta, 16 Luglio 2011

Presentazione di "Prima che sia Buio", Galleria d'arte Barbara Paci, Pietrasanta, 16 Luglio 2011

Metti una sera d'estate, prima che sia buio...

"Prima che sia buio" incontra l'arte alla Galleria Barbara Paci di Pietrasanta

Ilaria Guidantoni e Barbara Paci

La scrittrice con i genitori

La scrittrice tra Daniela Argentero e Barbara Paci

La scrittrice tra gli amici

Leggendo "I giorni del gelsomino" con il pittore Agostino Rocco

Leggendo "Colibrì"

L'autrice con Agostino Rocco

A Jorio, dedicato a Pistoia, alla Toscana e a una città d'arte

Tra Firenze e Pistoia

Con il pittore Agostino Rocco tra parole e immagini