lunedì 17 gennaio 2011

Riflettendo sulla rivoluzione tunisina

Roma, 17 Gennaio 2010

A tutti coloro che sapendo hanno fatto sentire la loro voce,
a coloro che hanno solo intuito e mi sono stati vicini,
a quelli che non sanno, non hanno capito o si sono distratti


Leggendo gli avvenimenti tunisini di queste settimane si annuncia un lunedì nero anche se speriamo che torni il sole presto.
Scrivo queste poche righe soprattutto per ringraziare di cuore gli amici, tutti coloro che mi sono stati vicini. Grazie per esserci stati e avermi sostenuta, informata, aiutata praticamente ma soprattutto ascoltata.
Oggi inizia una nuova storia per la Tunisia, nel segno della possibilità, con tutta l'ambiguità e i rischi della libertà, difficile e probabilmente più lunga di una scadenza elettorale - 60 giorni - incredibile da rispettare dopo 23 anni senza elezioni libere.

Nella mia piccola cronaca locale, quella personale,i pezzi sono tornati a posto nel puzzle. Ho vissuto un clima surreale e di sospensione, ma anche di incredulità, di trovarsi precipitata dal clima natalizio nel mezzo di una rivoluzione che in qualche modo mi ha toccata, interessando persone vicine negli affetti. Parlo di rivoluzione perché così dicono i miei contatti tunisini e nel Maghreb, forse la prima volta che nel mondo arabo la ribellione è autenticamente popolare.
Per quanto mi riguarda, io spero di tornarci presto e di vedere lo sforzo della ricostruzione e sto vivendo con nostalgia questi giorni di lontananza da luoghi che ormai mi appartengono un po’.


Questa vicenda drammatica, soprattutto per chi ha perso la vita e che forse sarà un giusto strumento di una storia che altri vivranno ma per i quali provo solo dolore, pensando soprattutto alle famiglie che restano spezzate, fa riflettere come molti accadimenti che ci scombussolano e mettono a nudo la nostra fragilità.

Al di là degli aspetti più interiori che ognuno vive dentro se stesso interrogandosi sulla vita restano osservazioni più quotidiane, quelle sull'amicizia e sulla solidarietà delle quali ho avuto in questi giorni una prova toccante e calorosa.

Un'altra osservazione, molto amara, è sulla disinformazione imperdonabile nell'era di Internet che ci fa credere una realtà deformata, che è disattenta. Come sempre nella complessità dei giorni ci interessiamo - com'è ovvio che sia - a quella parte di pubblico che tocca il nostro privato soprattutto emotivo e in questi giorni tremendi non ho fatto che rimproverarmi della mia disattenzione verso quello che è così vicino a noi da non essere messo a fuoco semplicemente perché non ci tocca.
La Tunisia è più vicina di Pantelleria alla costa siciliana e accoglie migliaia di italiani su una popolazione complessiva di appena 10 milioni. Il nostro Paese è il secondo partner commerciale, ha insegnato ai tunisini a mangiare la pasta quotidianamente e loro hanno insegnato ai nostri siciliani a condirla con la salsa al pomodoro.
Eppure il suicidio di un laureato costretto a fare il venditore ambulante, a Sidi Bouzid, del 17 dicembre, è arrivato sulla nostra stampa e solo su' Il Fatto Quotidiano, 10 giorni dopo e per il resto è stato silenzio fino ai primi giorni di gennaio quando i moti dell'Algeria, irrisori a confronto, ma di un Paese evidentemente non amico dell'Italia, hanno consentito di lasciar spazio per citare una notizia che era stata 'bucata' clamorosamente dalla TV. Strano. Le emittenti televisive non trasmettono servizi che non hanno avuto spazio in un tg il giorno seguente perché lo trovano vecchio.
E' emerso, a distanza di giorni, quasi solo su agenzie straniere, che i nostri governi passati avevano aiutato Ben Ali a salire al potere coinvolgendo i servizi segreti e che già un noto generale aveva rivelato questo (non ci sono state in questi giorni contestazioni); che i nostri imprenditori scelgono comunque la Tunisia perché è meglio del nostro sud visto che si paga 'ufficialmente' un pizzo e poi si è tranquilli e si riesce a lavorare. Insomma una mafia di Stato trasparente e controllata dalla polizia che è una garanzia, con regole certe e senza troppe faide. In fondo si rischia solo di avere 24 ore per lasciare il paese. Naturalmente accanto alla connivenza c'è anche un'imprenditoria sana italiana che ha dato il proprio plauso alla rivoluzione tunisina e ha deciso di non fermare mai la produzione.

Per chi lavora lì nelle istituzioni – che spesso pensiamo anche privilegiato - mi sono accorta che non c'è stata la dichiarazione di un politico, di un ministro, un'assistenza logistica per il rimpatrio. Eppure abbiamo e abbiamo avuto - in par condicio politica - un sottosegretario agli esteri con delega al Magreb e di stanza in Tunisia. La Commissione europea? Sembra inesistente. Certo forse quando scopriremo che molti tunisini chiederanno asilo politico in Sicilia, ci accorgeremo che qualcosa è successo. A proposito: molti dei piloti aerei hanno già chiesto asilo in Francia e non sono più tornati in patria. Solo alcuni imprenditori si sono organizzati, appunto privatamente e a proprie spese.

A qualcuno o forse a molti piace soprattutto il lusso a buon mercato e l'illusione della laicità perché ostentando lo spettro dell'integralismo religioso si promette modernità senza libertà, si prospetta di vivere godendo dei beni materiali, alcool e sesso compreso, senza pensare.
E' anche comodo tutto sommato.

In questo momento il paese è diviso tra polizia, legata a Ben Ali e tendenzialmente conservatrice, e l'esercito più vicino al popolo che da solo però non riesce a tenere il Paese; poi ci sono gli infiltrati che approfittano della situazione anche perché l'ex presidente ha dato ordine di aprire le carceri, non solo ai prigionieri politici ma anche ai delinquenti comuni: che muoia Sansone con tutti i Filistei. E sono cominciati saccheggi e vandalismi. Ghedafi dalla Libia, nostro paese amico come ben sappiamo, ha dichiarato in ogni caso che lui riconosce tuttora come presidente della Tunisia Ben Ali e ha lasciato intendere che potrebbe vigilare sul Paese.

Qualche volta le guerre si fanno in nome della religione, qualche altra volta in nome della laicità ma il senso non cambia.

Per fortuna i tanto bistrattati giovani tunisini considerati i 'molli' del mondo arabo, gli effeminati del nord Africa hanno dimostrato di dar vita alla prima rivoluzione vera del popolo in questa cultura. E' stata chiamata la rivoluzione del gelsomino. Speriamo che non diventi color sangue e che divenga una transizione perché come sa bene chi mastica un po' di storia, ogni rivoluzione che si rispetti ha le sue vittime e di solito si trasforma presto in una restaurazione.

Mi auguro che nessuno strumentalizzi il desiderio di parola e di condivisione, del libero pensiero e scelta a fini politici, religiosi e ideologici e che soprattutto il valore della vita nella sua dignità non venga messo in discussione nemmeno quando si tratta del rispetto per la vita degli oppressori.

Ilaria

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