martedì 20 marzo 2012

Maternità tra incubo e sogno


Settimo appuntamento con Maria Francesca Palli

E’ un fiume in piena questa ragazza che trasuda giovinezza, acqua e sapone, tanto entusiasmo, ma una determinazione e una stabilità che raccontano una lunga strada già percorsa e la capacità di stare in equilibrio tra più possibilità.

Non ho avuto un’esperienza diretta della maternità eppure molto vicina a me, quella di mia sorella più giovane di due anni, rimasta incinta dal fidanzato che conosceva da poco mentre io ero in partenza per gli Stati Uniti. In qualche modo una fuga a due; mentre la terza sorella, forse più equilibrata, era comunque alla ricerca di se stessa. La maternità è stata un’irruzione nella nostra vita e in quella dei miei genitori ma anche un modo per rinascere. Eravamo tutte scosse dopo che mio padre aveva lasciato la casa e ognuna cercava un altro luogo dove mettere radici, trovar identità. Lo choc è stato così forte che ci ha dato energia e una ragione per lottare. Mio padre, in particolare, è stato il vero compagno di mia sorella in quella gravidanza difficile e per certi aspetti dolorosi. Si sono confrontati anche due modelli di famiglia, quella del padre del bambino che sarebbe nato, fatta di gente semplice, con un bar nel centro di Roma, entusiasti della nascita di un nipote, occupati molto nelle loro faccende e dove mia sorella si era rifugiata prima di sapere del bambino, anzi prima dell’arrivo del bambino, per allontanarsi dalla propria casa. Per i miei, farmacisti entrambi, lo studio era sempre stata la cosa più importante ma poi il nuovo arrivato ha riempito la casa con altro.
Questo scompiglio che cosa ti ha suggerito?
Ha fatto emergere la mia vocazione di zia che per il momento mi riempie totalmente, per quell’affinità che si è creata con il cucciolo e quel senso di protezione e gelosia che ho sviluppato nei suoi confronti. E’ così importante che cerco di guidare mia sorella fuori da quel tunnel nel quale è finita per la rabbia accumulata nei confronti di un ragazzo che da subito ha accettato e desiderato quel bambino ma che forse, per paura, non si è sentito subito coppia con lei.
Probabilmente c’è una gradualità e una naturalezza che porta due persone a diventare una coppia prima di essere genitori e che in questo caso le vicende hanno rovesciato. Prima di questo evento c’era in te un pensiero della maternità?
No, se non molto vago. Ho ancora paura di un figlio per la mia vita. Per ora ho altri obiettivi e vivo per il teatro. Quando riuscirò a riempire il frigo con questo lavoro penserò ad un figlio. Magari però è una decisione che prenderò d’istinto una sera. Non credo che avere un figlio si un argomento di discussione. Magari però ci sono momenti della vita nei quali le priorità sono altre.
C’è un testo, un brano, un’opera che rappresenta questo tuo pensiero?
La poesia “Donne in rinascita” di Jack Folla Ermopoli, perché noi tre sorelle, ma anche mia madre e mia nonna, pur con la perdita di una certa lucidità dovuta all’età, si sono sentite rinascere da un figlio.
Non la conoscevo e ho deciso di pubblicarla in omaggio a questa rinascita che è un figlio anche quando nasca dal dolore e comunque sempre da un travaglio.

“Donne in rinascita”

Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa
meravigliosa in assoluto è
una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la
caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci
crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da
mina anti-uomo che ti fa
la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che
ti stai giocando
l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è
un esame, peggio che a
scuola.
Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come
il tuo capo ti guarderà
deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.
Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.
E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di
dormirci, con un uomo; che sei
terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non
flirti con nessuno perché
hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.
Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri
come un cane.
Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi
giustificare, che ti vuole
cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo
stretto.
Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.
Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli
con le altre: "Io sto bene
così. Sto bene così, sto meglio così".
E il cielo si abbassa di un altro palmo.
Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai
abitato Natali e Pasqua.
In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è
passato tanto tempo, e ne hai
buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci
a cercarti dentro
lo specchio perché non sai più chi sei diventata.
Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un
momento che hai guardato
giù e avevi i piedi nel cemento.
Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia,
nel tuo lavoro, nella tua
solitudine.
Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete!
Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.
Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata,
alla fermata della metro,
sul motorino.
Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.
E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato
per ore, perché l'aria
buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate,
ragazze!
Lacrime e parole.
Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei
metri che dia un senso al tuo
dolore.
"Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso
schema? Sono forse
pazza?"
Se lo sono chiesto tutte.
E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia,
a due, a quattro mani, e
saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle
inestricabile.
Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?
E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti
così, scomposta in mille
coriandoli, che ricomincerai.
Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un
istinto che la trascinerà
sempre avanti.
Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova
forma per la tua nuova te.
Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di
presentarti a te stessa.
Non puoi più essere quella di prima. Prima della
ruspa.
Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.
Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la
prima volta, è come un diesel.
Parte piano, bisogna insistere.
Ma quando va, va in corsa.
E' un'avventura, ricostruire se stesse. La più grande.
Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore
delle tende o dal taglio
di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo
meraviglioso modo di
gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o
con un fresco ricciolo
biondo.
Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il
cantiere è aperto, stiamo
lavorando anche per voi.
Ma soprattutto per noi stesse".
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è
la più grande meraviglia.
Per chi la incontra e per se stessa.
È la primavera a novembre.
Quando meno te l'aspetti..."

Hai mai interpretato il ruolo di madre? E guardandola mi dico che non è la domanda giusta. E’ prematura.
Non. Per ora sono sempre stata una figlia.
Qual è il tuo ultimo lavoro?
Ho recitato la parte di una figlia, appunto, in Psyco&Love di Mattia De Pascali per il Festiva degli Horror che si terrà a settembre-ottobre prossimi ma le riprese sono state lo scorso settembre. E’ un thriller senza splatter: la storia di una violenza nella quale io interpretavo la vittima e Antonio Calamonici il carnefice. Un bravo attore che mi a permesso di sentirmi a mio agio anche nelle scene di intimità.
Il prossimo lavoro è già in programma?
Parteciperò alla rassegna di corti teatrali “Nudanima” con la compagnia della quale faccio parte ‘Come dove quando’ che si terrà a giugno per due settimane. Io sarò in scena il 2 giugno e avrò un quarto d’ora per presentare la rassegna. Ho scelto di recitare alcune poesie della polacca Wislama Symborska, dato che amo molto la poesia.
Chi è Maria Francesca Palli?
Studentessa al liceo San Leone Magno di Roma, frequenta il corso di teatro a pagamento all’interno della scuola con Maria Luisa Gorga e Gianni De Feo; non si prepara e non passa al provino dell’Accademia Silvio D’Amico. Si laurea in Farmacia su pressione dei genitori e tuttora lavora nella farmacia di famiglia. Nel frattempo segue il teatro, frequenta il Dream workshop a New York di Elizabeth Kemp e poi a Roma il Workshop performation di Antonio Bilo Canella, Hossein Taheri oltre una serie di altre scuola.
Fondamentalmente attrice di teatro, ha recitato in “Rumori fuori scena” con la regia di Pino Ammendola; in “Anna Frank” con la regia di Bruno Cariello, interpretando la protagonista e ancora in “Love è Checov” e in “Skyzophrenija” con Positiva Teatro dell'Angelo di Pietro Dattola; in “Les recontres teatrales de Lyion” a Lione dello stesso regista; con il quale ha lavorato anche nella “Fattoria degli animali” con il Piccione Teatro delle Muse; e infine in “Febbre” a Cineteatro, regia di Davide Fiandanese.

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