lunedì 9 gennaio 2012

F etrusca


di Lavinia Collodel

Se fossi una lettera dell’alfabeto sarei la F etrusca, effe, fi, o come si pronuncia. E’ carina, pare un abete a metà, la metà di sinistra. Non perché siamo ancora vicini a Natale, non per questo mi è venuto in mente. L’albero di Natale credo che in fondo c’entri qualcosa, anche se solo a metà. In ogni caso si tratterebbe di un abete bianco, ne sono certo, ho controllato sotto i rametti della F e sono bianchi, senza dubbio. L’albero di Natale è un abete rosso, dunque tutta un’altra storia. E poi l’albero di Natale è carico, strapieno di cose, sopra in mezzo dappertutto, addobbato. Io invece sono a metà, come la F etrusca. Non ho finito di segnare la mia parte destra - mi è stata anche cancellata – per buttarmi a capofitto nelle lettere seguenti, che scrivono le parole della mia storia, andando da destra a sinistra come facevano gli etruschi, e poi da sinistra a destra, in andamento bustrofedico, dall’alto al basso, vorticosamente.
F come fumare – abbastanza, e avevo smesso per anni, maledizione.
F come finito – di dover raccontare cosa successe l’anno scorso, ormai lo sanno quasi tutti.
F come frattaglie – interiora aggrovigliate.
F come fame – quella che non ho più.
F come freddo – lo sento sempre, mi sento sempre.
F come futuro – incerto.
F come fuzzy logic – logica incoerente: perché è successo?
Fine dicembre di un anno fa, domenica. Penny sta arrivando da me. E’ sul raccordo. Io torno da uno dei miei soliti viaggi di lavoro, questa volta in Venezuela.
E’ uno di quei tramonti alle quattro del pomeriggio, che verrebbe solo da infilarsi sotto il piumone, cosa che farò con Penny non appena arriva. Siamo sposati, ma abbiamo ancora due case separate, nulla di grave, ci piace così, per ora. Forse più a me che a lei, ma tra poco mi convincerà dolcemente a dare via tutto per prenderci qualcosa insieme. Dirò di sì, naturalmente.
Ho un regalo per lei. Adora le sorprese, la mia Penny. Ho messo su un cd che le piace.
La casa è tutta in ordine, la donna delle pulizie ha fatto miracoli in mia assenza, come sempre.
Non vedo l’ora che arrivi.
La vorrei chiamare per chiederle quanto le manca a casa mia, quanto le manco, da quanto. Mi contengo, mi trattengo, e faccio un paio di telefonate a caso.
Poi squilla il cellulare.
- Lei è Ulli?
- Dipende. Chi parla?
- Polizia.
- Sono Ulli solo per una persona. Francesco all’anagrafe.
- E’ successa una cosa a una persona che dovrebbe conoscere. Chi la chiama Ulli.
- Penny?
- No, Claudia Manchi.
- E’ Penny.
Non ci capisco più nulla. Chi mi sta chiamando, cosa vuole da me, dov’è Penny. Ansia nera. Cosa è successo. Cosa devo fare. Chi sono.
- Francesco?
- Sì, sono qui.
- Si faccia accompagnare da qualcuno in centrale, uscita 8 del raccordo.
- Adesso?
- Adesso.
La mia Penny. Penny-Penelope che fa la calzetta, come dice lei, mentre io Ulli-Ulisse sto in giro per il mondo, ogni mese in posti diversi, per lavoro. E’ pure simpatica, la mia donna, mia moglie.
Quello che viene dopo non lo vorrei ricordare. Ma Penny non c’è più, e la sua assenza me lo ricorda ogni istante, ogni dannatissimo secondo. E’ andata più o meno così, la scena: un infame supera a destra, e taglia la strada all’amore mio che, lumachina, si teneva a destra. La fa fuori sul colpo, l’infame. Ma non è un mio ricordo, io non c’ero, lo immagino solo, ogni giorno, ogni notte in bianco o in sogno. Mi riempio e mi svuoto, e non mi rimane più nulla. Non sento il dolce né il salato, contratto di pianto, muto dalle troppe urla.
F come fregato da un fottuto fijo-de-‘na-mignotta.

La foto è di Alessia Cervini

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