martedì 10 maggio 2011

La rivoluzione scende on line

La rivoluzione scende on line
Sulla piazza virtuale

Ilaria Guidantoni ospite sul blog di Alfredo Cafasso




Bolle di libertà: le mille strade dei social-ferments sul web
Di
Alfredo Cafasso Vitale
– 16 aprile 2011Postato in: Senza categoria


Alfredo Cafasso Vitale Ingegnere dell’Informazione e giornalista pubblicista. Opera da molti anni, nella consulenza, nella produzione di contenuti e nella formazione, anche universitaria, in ambiti legati all’innovazione tecnologica, i New Media e la comunicazione. Vicepresidente del Comitato Nazionale Ingegneri dell’Informazione (CNII), coordina le attività della Commissione New Media, Tecnologie e Comunicazione dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Napoli. Ha vissuto a lungo in Francia, ed oggi divide il suo tempo tra Napoli e Berlino.

Un ottantatreenne professore bostoniano, Gene Sharp, fondatore della Albert Einstein Institution, insegnante di scienze politiche all’University del Massachusetts a Dartmouth, relatore a seminari di Harvard, autore del pamphlet: “Dalla dittatura alla democrazia”, sembra avere un ruolo non secondario in quanto accaduto in Nord Africa negli ultimi mesi.

Gene Sharp
Il suo messaggio, colto nella sua totalità dai ribelli egiziani e tunisini, aveva gettato semi in Egitto dove, qualche anno fa, il Centro Internazionale sul Conflitto Non-violento, tenne un workshop al Cairo. Tra il materiale distribuito allora, c’era il suo paper “198 metodi di azione non violenta”.
La blogger ed attivista egiziana, Dalia Ziada, che partecipò al workshop, e poi organizzò sessioni analoghe in autonomia, ha dichiarato che attivisti che avevano seguito questi seminari erano presenti nell’organizzazione di entrambe le rivolte in Tunisia ed Egitto. Del resto le idee di Sharp, avevano guidato già i movimenti in Bosnia, Estonia, Myanmar e Zimbabwe.
Sharp non ha un profilo Facebook, e non usa, se non quando deve proprio, l’e-mail.Per questo la sua assistente ha predisposto istruzioni manoscritte vicino al suo Mac. Ma il suo messaggio e la sua introspezione nella società e nelle dinamiche del potere sociale si sono propagate sul web, via blogs e social networks, con una penetrazione che prima dell’esistenza di questi media era inimmaginabile.
È per questo che Internet viene considerato un pericoloso avversario politico, anche nel nostro Paese, che non a caso non ne finanzia l’infrastruttura.
I regimi totalitari, come quelli Nord Africani, guardano allo sviluppo della politica partecipata in rete con terrore, non esistono infatti scorte o blindature che possano salvare un rais dalla valanga di messaggi, documenti, foto ed immagini, che la rete è capace di generare.
In realtà, questi regimi autoritari, la Cina in primis, riescono ad operare (o quantomeno ci provano), un controllo sull’accesso a contenuti ritenuti “sensibili” con una gamma differenziata di strumenti che vanno dalla messa al bandodelle realtà ritenute più pericolose ( operando sugli IP dei siti principali e di quelli mirror), attraverso l’inserimento in una black list permanente o temporanea. I provider, che in questi paesi sono spesso vicino ai regimi, attuano procedure di esclusione di chi è incluso nell’elenco. La censura può prevedere anche il metodico tracciamento di chi raggiunge siti off-limits, esegue ricerche con parole chiave “pericolose”, o pubblica sui social network contenuti sgraditi. La schedatura, non difficile, viene spesso integrata dalla mappatura relazionale dei soggetti in reciproco contatto.Alcuni di questi sistemi sono bypassabili, da chi conosca l’IP del web di interesse, o imposti i propri browser a servirsi di DNS stranieri, diversi da quelli in automatico forniti dal server.
Del resto anche realtà come Google, non sono scevre da questi meccanismi di censura e schedatura, clamorosi qualche anno fa quelli operati in Cina.
Ma proprio un manager di Google, Wael Ghonim, di origini egiziane, è rientrato dagli USA nel suo Paese per partecipare a quella da lui definita Rivolta 2.0. Il regime ha arrestato Ghonim, ma il popolo di Twitter ha internazionalizzato l’evento, al punto che qualche settimana dopo Wael è stato rilasciato. Il regime ha reagito chiudendo il “rubinetto” ad Internet, operando cioè una drastica riduzione di banda, ma la Rivoluzione 2.0, è continuata sui cellulari, via sms, e quando anche le potenze di queste reti sono state ridotte, altre contromosse sono state studiate, fino alla vittoria della piazza Tahrir.
Si sta aprendo un fronte, per i social media come Facebook, Twitter, Flickr e Youtube: come lasciar spazio al loro crescente uso per scopi politici, salvaguardando la neutralità e conservando le pratiche e le policies che hanno reso famosi questi strumenti al loro nascere.
Bisognerà pensare alla creazione di regole ed ai meccanismi di applicazione, che possano facilitare gli attivisti in un utilizzo “proprio” di questi media. Spesso, tra l’altro, i contenuti non sono proprietari, si pensi al caso di Sharp, presentato in apertura di questo post, e non tutti sono entusiasti come Sharp dell’utilizzo che si fa dei propri contenuti a fini politici.
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