venerdì 2 dicembre 2011

Destinazione Agorà



Viaggio in Grecia nella piazza della protesta con Francesco De Palo*, Giornalista

Cos’è per te la Grecia? “Una seconda patria, un luogo, forse la prima, il luogo delle mie emozioni, la nazione elettiva che ognuno di noi sceglie e che probabilmente corrisponde all’anima nomade dell’uomo che cerca sempre un altrove e, nello stesso tempo, ha bisogno di porti sicuri nei quali attraccare”.

Per chi va in cerca di sicurezza, il Pireo non mi sembra con il vento che sta soffiando il porto da raccomandare. Qual è il più grande disagio al momento? “La mancanza di prospettiva, qualcosa di più profondo e drammatico dell’incertezza e di un generico pessimismo. La gente ha fermato i consumi, non si è rifugiata com’è accaduto in Italia nel cibo, ad esempio. Con la crisi il consumo di carne si è ridotto in modo sensibile, così come le spese sanitarie perché le persone più umili risparmiano nelle cure mediche”.

Dal punto di vista dell’analisi economica invece qual è la situazione? “Una crisi profonda dovuta al debito pubblico elevatissimo che crescerà del 170% nel prossimo anno. A breve ci sarà il via libera della troika alla nuova tranches di aiuti, ma di fatto non c’è governo, bensì commissari europei che comandano. Questo è un esempio che mette a repentaglio la coscienza e la tranquillità dei greci. Le persone si chiedono a cosa varranno i loro sacrifici se comunque le previsioni vedono un peggioramento almeno nell’immediato futuro”.

La crisi greca più di altre si è riflettuta in una crisi sociale e di identità, che ha colpito l’interiorità delle persone e non solo lo stile di vita. Come ha reagito la piazza?
“La piazza ha detto basta, anche con sfoghi violenti e suicidi (a Salonicco un uomo invaso dai debiti si è dato fuoco fuori da una banca, decretando il fallimento della politica, non solo per le scelte sbagliate quanto per quelle scellerate”.

Un esempio? “Un milione di euro per il sito della Camera. Se in parte la corruzione e il disfacimento della classe politica, dirigente e dell’amministrazione erano noti, al popolo da un giorno all’altro è stato prospettato il baratro”.

Cos’è accaduto? “La crisi si è abbattuta improvvisamente, soprattutto sui più deboli, con una decurtazione dagli stipendi medio-bassi di 200-300 euro al mese da un momento all’altro; una riduzione delle pensioni minime; licenziamenti improvvisi e imprevedibili. In generale l’economia ha avuto un impatto devastante sulla sperequazione sociale”.

Cos’era c’era in nuce di questo legame perverso? “Un sistema malfunzionante: faccio l’esempio dell’università che prevede un test di ingresso molto rigoroso con la conseguenza che l’ammissione è ritenuta un privilegio. Il problema è che non è detto che un cittadino passi il test nella città dove risiede. Da qui una notevole mobilità interna con una migrazione forzata all’estero per quegli studenti che non riescono a superare il test, che oltre tutto può essere ripetuto solo a distanza di un anno. Di per sé andare a studiare all’estero o cambiare città può rappresentare un’esperienza interessante per uno studente; solo che se è forzata crea un indebitamento per le fasce deboli della popolazione.”

A fronte del rigore nell’accesso non mi pare che l’università greca sia rinomata.
“Infatti il sistema universitario non funziona, pur essendoci, soprattutto nelle materie scientifiche, delle punte di eccellenza. D’altra parte le riforme strutturali necessarie non daranno i frutti prima di due cicli universitari. A breve la situazione non potrà che peggiorare.”

Com’è la crisi dalla parte degli Indignados greci? “I giovani greci sono scesi in piazza quando erano esasperati e sono molto ben organizzati, con una forte presenza sulla rete. D’altronde questo modo di reagire risponde bene alla capacità greca di fare squadra nel momento del bisogno. In generale invece il greco è un anarchico in grado di disquisire ad altissimo livello ma anche di andare per proprio conto. Attenzione, è anche la loro forza, l’imprevedibilità da dove nascono le idee perché libere dagli schemi”.
Eppure si parla poco della Grecia, molto meno di altri paesi. “Questo è dovuto, da parte italiana, alla carenza di personale da destinare sul campo e alla possibilità di approfondire le notizie. Certo alla base esiste una scelta legata alla geopolitica del peso degli stati. La Spagna ad esempio è riuscita ad avere un riscontro comunicativo forte anche perché si è indebitata per investire in infrastrutture moderne. Le reti, una volta passata la crisi, resteranno come patrimonio e oggi rappresentano in ogni caso un’immagine spendibile, basti pensare al porto di Valencia e quindi alla possibilità di ospitare competizioni sportive internazionali o ai gran premi di F1 o di motociclismo. In Grecia è mancata una visione politica per far posto ad una visione godereccia di corto respiro, dedita allo sperpero e alla spensieratezza non degna di un paese maturo. Se ripenso alle Olimpiadi del 2004, a parte gli stadi, gli impianti sono per lo più in malora e si sono rivelati solo un costo”.

Cosa dicono i greci ai loro accusatori? “I grandi Soloni dell’economia non hanno saputo prevedere la crisi, quindi perché oggi si permettono di parlare e addirittura di suggerire ricette anti-crisi, come l’assurda uscita dall’euro con il ritorno alla dracma?”

I Greci si sentono in fatto di identità più il nord del Vicino Medio Oriente e del Magreb o il Sud dell’Europa?
“Purtroppo nessuno dei due. O forse né l’uno, né l’altro adeguatamente. Certamente la Grecia non ha saputo sfruttare la vicinanza con il Nord Africa. E’ rimasta chiusa e schiacciata, per l’incompetenza della sua classe politica(due famiglie in sessant’anni di politica, i Karamanlis i Papandreu), tra i due blocchi, Stati Uniti da una parte; ex Urss dall’altra, senza maturare una propria identità originale. Tutto si è risolto con la dialettica tra le opposte fazioni. Il sogno della Svizzera del Mediterraneo è affondato, ma perché no, potrebbe essere la meta da inseguire in futuro ”.

Veniamo al greco. La lingua è la prima identità di un popolo ed è anch’essa in crisi: una metafora? “Certamente colpa anche di una riforma universitaria sciagurata che ha mortificato la tradizione classica e la specificità mediterranea. Purtroppo conoscere le origini significa poter continuare e non essere dei conservatori. Invece prevale una dialettica sterile in tal senso”.

Cosa vorresti dire alla piazza? “La piazza è la vitalità, è l’essenza dell’uomo, zoon poltikòn, è la provenienza e la meta e per ora è stata mortificata. In qualche modo sta accadendo in tutto il Mediterraneo, penso soprattutto a piazza Taharir al Cairo dove non c’era colore politico, connotazione religiosa, ma primariamente la battaglia per la giustizia e la dignità. Oggi, in Grecia come altrove, non vedo un Leonida che possa guidare una guerra. Ma non è detto che non nasca domani…”.

*Conoscitore innamorato del greco e della Grecia, Giornalista e Scrittore; è direttore di Mondogreco.net e Redattore del Settimanale “Il Futurista”

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