domenica 15 aprile 2012

"Lo Scorpione bianco"



di Daniel Fermani
liberamente ispirato alla Medea

Con Luca Di Carlo e Laura Sales
Regia di Daniel Fermani

In che momento l’esistenza diventa un’incubo? E’ possibile continuare a vivere dopo essere stata oltraggiata con la massima umiliazione che subire possa una donna?
In uno spazio atemporale si concentra tutto il tempo dell’universo: è la vendetta. Una donna riflette e compie la sua vendetta nello stesso momento, un’ istante che chissà altro non è che uno scivolo verso la pazzia. Ma la pazzia è una conseguenza o la vera causa dell’omicidio? E’ un crimine uccidere quando lo scopo è ripagare un’altro crimine? Perché l’abbandono è un crimine, forse, che non può essere perdonato. E dopotutto, cosa sono i figli se non la fragile catena che unisce due persone col ricordo di una passione ormai tradita?
La donna parla. Parla da sola, o parla ad una vecchia attendente. In alcuni momenti è conscia e la sua mente enumera i fatti che la resero un’essere vivente, un essere felice. Presto oscure nuvole rabbuiano la sua mente e la trascinano nell’ambito dal quale nessuno ritorna. Follia? Crudeltà spietata? Filicidio? Tutte queste cose e nessuna. La donna agisce con la furia di una dea e la forza di una qualsiasi donna tradita. Ma pure la sua debolezza potrebbe essere ritenuta la vera causa del crimine.
In un monologo straziante e pieno di rivelazioni, una donna spiega come si scenda nell’inferno.

NOTE DI REGIA
Laura Sales e Luca Di Carlo sono stati messi in un ambito nudo, scarno, in silenzio. Dall’energie corporee si è strappato il testo nel caso di Laura, e si è spinto il movimento nel caso di Luca.
L’incatenarsi di esercizi ben precisi e guidati nello spazio incomincia a delineare la struttura sulla quale si monta il testo della protagonista, mentre l’accompagnatore comincia a subire la metamorfosi che lo trasformerà da compagno-traditore in vecchia attendente e spettatrice del crimine.
Non avendo un tempo lineare più che in apparenza, il monologo si appoggia nel gioco corporeo della protagonista per sdoppiare i suoi significati, un gioco con lo spazio-tempo in cui la donna rifletterà e contemporaneamente realizzerà la sua vendetta, la guarderà da fuori e poi scivolerà nel delirio come conseguenza del suo proprio crimine.
Tutto questo processo è sostenuto dal movimento corporale che rare volte si collega col testo, come nella mente della protagonista; mentre che la vecchia riflette in modo leggermente più naturalista la vera indole di quello che dice la sua signora.

Non avendo un tempo lineare più che in apparenza, il monologo si appoggia nel gioco corporeo della protagonista per sdoppiare i suoi significati, un gioco con lo spazio-tempo in cui la donna rifletterà e contemporaneamente realizzerà la sua vendetta, la guarderà da fuori e poi scivolerà nel delirio come conseguenza del suo proprio crimine.
Tutto questo processo è sostenuto dal movimento corporeo che rare volte si collega col testo, come nella mente della protagonista; mentre la vecchia riflette in modo leggermente piú naturalista la vera indole di quello che dice la sua signora.

SULLO STILE DI SCRITTURA
Il monologo Lo Scorpione Bianco è stato costruito su di un pentagramma spazio temporale nel quale é possibile attraversare diverse dimensioni collegate tra di loro dalla stessa presenza della protagonista. La donna che parla è sempre al presente, in una prima lettura; ma è un presente che esiste soltanto nella sua mente. O al contrario, è un presente soltanto per il lettore o lo spettatore, perché lei inizia nel passato, torna al presente, va verso il futuro e finisce in un non-tempo che probabilmente sarà la sua condanna da quel momento in poi.
Il linguaggio è semplice, ma si carica di metafore ed immagini quando si riferisce alla vita, sia quella della protagonista o quella in generale, la vita che lei sente di aver perso, a momenti, o di aver distrutto con il suo crimine. Le parole incisive si riferiscono al crimine e al tradimento che lo ha motivato. L’appello alla vecchia attendente è un’ancora alla realtà e al presente continuo, un presente dal quale non si può fuggire, perciò ogni volta che la protagonista parla alla vecchia, si ha la sensazione che si stia ritornando ad un presente e un qui che non si sono mai mossi, che attendono il suo ritorno dall’inferno.
L’apparente ordine logico del discorso nasconde un’altra logica, quella del delirio. Non necessariamente il delirio è illogico, ma bensì ha un’altra logica, una logica fuori dalle regole che permette alla protagonista di fare i salti nello spazio-tempo per riflettere, raccontare la storia e allo stesso tempo perpetrare il suo crimine. Poi può scivolare nella pazzia.
Daniel Fermani

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