mercoledì 27 aprile 2011

Il leone del deserto, il re e la bandiera verde di David Parrini




Il leone del deserto, il re e la bandiera verde
di David Parrini
Sono ispirato e allo stesso tempo scoraggiato di scrivere qualcosa di significativo su un ricco e allo stesso tempo sfortunato paese chiamato Libia. Della Libia sento parlare da quando ero piccolo per il servizio militare di mio nonno durante il Ventennio e sua relativa "diserzione" dovuta a legami di amicizia intessuti con dei berberi; e anche da varie letture e da amici che hanno lavorato a vario titoli in quel meraviglioso "Cassone di Sabbia".
Anche vicende personali legati alle mie frequentazioni dell'Ufficio Popolare della Jamahiria di Roma (l'Ambasciata Libica) mi portano a ricordare questo paese... grandi amicizie con grandi persone come l'ex Consigliere Culturale Idris Tayeb Lamin o semplici conoscenze con persone più che stimate che conoscono bene e amano il mio paese come sua Eccellenza Shalgam... ma ad oggi cosa rimane di tutto questo?
Ricordo lunghe chiacchierate sulla Libia con Idris, che mi hanno "catechizzato" su questo paese.... i racconti sul suo famoso nonno che era il Vice del Leone del Deserto Omar Mukhtar.... ho ancora un vivo ricordo di quando Idris a metà aprile del '98 mi annunciò, con il suo solito sorrisino, che “tra qualche giorno succederà una cosa incredibile”... ricordo tre giorni dopo su tutti i telegiornali del mondo scendere da un aereoplanino monomotore Idris insieme a Sgarbi e Niki Grauso per negoziare la liberazione del capocantiere Sarritzu rimasto a "garanzia" per disguidi sull'attività dell'azienda per cui lavorava in Libia in cambio della loro violazione dell'embargo aereo.
Eppure mi pervade una grande amarezza e una forte preoccupazione per il futuro; per un "ginepraio" tutto sommato annunciato... Chiunque conoscesse quel paese sapeva le incognite del dopo Colonnello; sapeva che la Libia ha un sistema istituzionale a dir poco originale e che i suoi figli sono solo dei giovani viziati e che non possono e non dovrebbero succedere al padre; anche perché non ci sono gli "alvei istituzionali" per accogliergli in quanto lo stesso padre è "tecnicamente" un privato cittadino da parecchi anni.
Quale sarà il loro futuro e il nostro? L'Italia è infatti un paese legato a "doppio filo" con la Libia; del resto quando togliemmo la regione all'Impero Ottomano ai primi anni del '900 l'entità Libia non esisteva, ma fummo noi, riesumando un antico nome romano, a crearla.
Gheddafi nazionalizzò il petrolio libico lasciando solo all'ENI una bella fetta; l'Italia da quarant'anni conta su questo cespite e su svariate commesse su suolo libico.
Purtroppo l'ostilità di sempre della zona di Bengasi, la Cirenaica, verso la Tripolitania (queste erano le regioni sotto l'Impero Ottomano) è sempre esistita e si è acutizzata dalla presa del potere di Gheddafi; da sempre la Cirenaica si considera trascurata per la Tripolitania e per Tripoli, del resto la Senussia che portò la monarchia rovesciata dal Colonnello era cirenica, il tutto condito e complicato da una forte "balcanizzazione" dovuta alle antiche kabile che da sempre governano localmente la Libia.
Quelli di Bengasi, ma gli fa eco anche il Senatore Pellegrino, dicono che Gheddafi lo abbiamo messo noi italiani per porre la Libia sotto la nostra influenza economica; per questo fatto gli insorti ci faranno pochi "sconti" invece la Senussia era filo-anglosassone... una bella gatta da pelare.
Il cambiamento sarà difficile per tutti e soprattutto doloroso, ma ormai necessario; dobbiamo certamente avere occhio che i "ribelli" non siano "contaminati" da elementi poco "democratici" che nella migliore delle ipotesi potrebbero portare la Libia ad una ingovernabilità...
In questo maledetto "ginepraio" non vorrei che questo paese passasse dalla padella alla brace.

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