lunedì 13 dicembre 2010

Conversando con il Regista de’ I Fiori di Kirkuk


Un film e un libro dello stesso autore

Come nasce l'idea di scrivere un libro da un soggetto? Che cosa ha vissuto di nuovo, cosa ha aggiunto e cosa Le ha trasmesso la stesura del libro di diverso rispetto alla regia?
L'idea di scrivere un romanzo dalla sceneggiatura viene dal desiderio di approfondire due aspetti principali del film: raccontare meglio il concetto di amore dal punto di vista mediorientale per il quale la sofferenza è la misura fondamentale. Presentare “le sette valli dell'amore” che, secondo la poesia mistica mediorientale, conducono all'apice dell'esperienza d'amore, cioè dare la vita per l'amato e l'amante diventa esso stesso il significato dell'amore. Inoltre volevo dare maggiore prospettiva all'aspetto storico della storia, raccontare l'Iraq di oggi attraverso il destino dei protagonisti trenta anni dopo mi ha dato una chiave di lettura ancora più efficace della situazione di oggi in Iraq.
L'ampiezza del libro che spiega molti retroscena, amplia le storie oltre quello che si evidenzia nel film, era già implicito nel momento della regia o è stato successivo?
Per sviluppare il soggetto e la sceneggiatura ho dovuto inventare e scoprire tante situazioni, antefatti e personaggi secondari per conoscere meglio la storia che raccontavo nel film. Una base molto più ampia del racconto del film. Questi materiali, che poi ho dovuto sacrificare perché il mezzo cinematografico lo richiedeva sono quelli a cui sono tornato quando ho scritto il romanzo.
Se dovesse rivolgersi al pubblico come lo guiderebbe tra il libro e il film?
Il film e il libro sono due opere completamente indipendenti una dall'altra. Ognuna cerca di rispettare il suo mezzo di espressione. Ci sono tanti romanzi bellissimi e ci sono tanti film tratti da romanzi che mi piacciono, il rapporto tra cinema e letteratura è antico come il cinema, mai leggere un bel romanzo mi toglie il desiderio di vedere un film tratto da questo romanzo. Vedendo i personaggi che prendono vita, vederli in carne e ossa è un piacere che completa per me il gusto di leggere un bel romanzo.
Venendo più da vicino al libro, mi ha colpito l'invito della protagonista: A volte si deve scegliere di essere dalla parte dei carnefici o delle vittime. "Io ho scelto di stare tra le vittime". Vorrei approfondire questo passaggio perché il mio libro che racconta soprattutto dalla parte delle donne dolore e desideri è rivolto soprattutto agli uomini e una poesia, L'odore della vita, è dedicata alle vittime ma soprattutto ai carnefici. Apparentemente sembra molto lontana ma è in linea con il suo pensiero. Vorrei che sviscerasse questo concetto. E in particolare vorrei capire se si può essere dalla parte delle vittime senza essere tra le vittime, a nostra volta vittima.
Uno dei temi principali del libro è la responsabilità personale di ognuno di noi di fronte ad una tragedia sociale che può succedere intorno a noi. Penso che tante tragedie storiche e sociali accadano perché le persone non hanno il coraggio di prendere posizione, anche se questo non vuol dire che si schierano con il male, ma non prendere posizione indebolisce il bene. Parlando del Medio Oriente, una parte del mondo che ha profondamente bisogno di cambiamento, penso che sia fondamentale che ogni cittadino prenda posizione. La protagonista della storia è una ragazza ricca che appartiene alla classe al potere. Nonostante la sua posizione sicura lei decide di schierarsi contro la persecuzione della minoranza. La circostanza storica è così drammatica che lei deve decidere: o con le vittime o con i carnefici, non c'è una via di mezzo.
In generale si può aiutare le vittime senza diventare una vittima. Penso che anche se per la tua posizione verrai punito con le vittime questo non vuol dire che sei una vittima perché la tua volontà, la tua scelta ti fa essere diverso dalle vittime. Nel romanzo la protagonista vuole essere tra le vittime perché questa sofferenza, secondo la concezione mediorientale, è un segno dell'autenticità dell'amore. Salvarsi per Najla negherebbe il suo amore.
Infine mi sembra che emerga che tutti sono in qualche modo vittima nel suo libro: fermiamoci ai tre protagonisti. A che titolo sono vittime, a quale titolo possono essere considerati vincitori e in qualche modo anche carnefici?
Dal punto di vista storico tutti e tre, coetanei, sono vittime di una situazione sociale e politica disumana. Il regime dittatoriale di Saddam Hussein ha rovinato la vita di tutti e tre nonostante la loro appartenenza alla minoranza etnica o alla classe al potere. Per me tutti e tre, in un modo o in un altro, sono vincitori. Alla fine del romanzo tutti e tre gli amanti riescono ad arrivare al massimo dell'esperienza amorosa portando la loro scelta fino in fondo senza compromessi riuscendo così ad unirsi al loro amato.
Una storia d'amore ma molto di più. L'impianto è però classicamente questo. Qual è la scelta?
Le mie storie preferite in letteratura sono sempre state quelle d'amore. Le migliori storie d'amore che conosco non parlano mai solo dell'amore, l'amore è la formula più bella per raccontare i personaggi e il mondo in cui vivono. E' una forza magica, una luce che guida l'anima dell'uomo, che mette l'uomo in conflitto con il mondo intorno a lui, gli apre gli occhi e gli dà la possibilità di criticare sé stesso e il mondo intorno a lui e allora reagire all'ingiustizia. Insomma, una storia d'amore per me non è mai solo la cronaca di una passione ma la trasformazione di un essere in Uomo. Sono anni che viviamo con le spiacevoli notizie che vengono dal Medio Oriente, la brutta storia del mio popolo è piena di dolore, tradimento e morte ma non volevo che il primo romanzo sul popolo curdo scritto in lingua italiana presentasse un'immagine buia ai lettori. Volevo raccontare la dolorosa storia del mio popolo attraverso un messaggio d'amore. L'apprezzamento dell'amore è profondamente radicato nella cultura curda nonostante la memoria collettiva piena di persecuzioni.

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