3 settembre 2013 - La transizione tunisina sta attraversando la sua crisi peggiore e il governo di Layaredh è a rischio. In un momento così delicato a livello internazionale dove la paura del contagio può diventare il veicolo di propagazione occorre calmare le acque e smorzare la contrapposizione tra maggioranza ed opposizione. In Tunisia la volontà di superare la dinamica del muro contro muro esiste, probabilmente da entrambe le parti, tolta una frangia più radicale di espressione islamica; e a favore di questo clima, a mio modesto avviso, gioca positivamente il fatto che in Tunisia non ci sia presenza sciita e pertanto non si alimenta quell’opposizione che in termini internazionali vede contrapposti, da una parte Iran e mondo sciita, sostenuti da Russia e Cina; dall’altra, il mondo sunnita sostenuto dagli Stati Uniti, mettendo in crisi paesi dove al proprio interno le due componenti hanno un peso non indifferente come in Siria e in Libano. Inoltre mi pare di poter dire che il popolo tunisino ha dato prova di sapere realizzare un laboratorio democratico per quanto ancora lontano dalla meta. Il rischio di una deflagrazione pare scongiurato ma la preoccupazione resta alta tanto che il nostro Ministro degli Esteri Emma Bonino ha deciso di recarsi a Tunisi per due giorni di incontri. Nelle ultime settimane infatti le tensioni sociali sono esplose con imponenti manifestazioni di piazza e il grido Erahil!, Vattene!, contro il Governo è tornato protagonista. E’ difficile però un’esatta valutazione del fenomeno anche stando sul posto. Il mondo intellettuale e politico vicino alla ‘sinistra’ parla di migliaia di persone nelle proteste; mentre altre componenti più moderate, che pur non parteggiano per il governo in carica, ridimensionano il fenomeno.
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