martedì 25 settembre 2012

Da Pordenonelegge la denuncia etica del maitre 'a penser Marc Augé del furto del tempo, in parte furto dell'inferiorità


Mi riconosco molto nella vittima del tempo dell'agenda, come dico io, il tempo degli appuntamenti dove gli altri sono spazi da riempire, ridurre, dilatare e purtroppo non da vivere.

“Ci hanno rubato il futuro, si sono presi il nostro tempo”. Le pronuncia sottovoce ma spaccano i timpani, sono una sveglia che non vuoi sentire le parole di Marc Augé nel chiostro della biblioteca civica di Pordenone. Questo signore, dal volto francescano incorniciato da un’argentea barba, sorride e parla con misura. C’è una sola parola che ripete diversa dalle altre, con pienezza leggera, con forza silenziosa, con entusiasmo trattenuto: Temps. Ma chi ha ucciso il nostro tempo? Gli autori del delitto sono due: la crisi della finanza che ha cancellato ogni progetto e la tecnologia che ci tiene inchiodati all’istante con i telefonini e Internet. Tra il pubblico non manca chi furtivamente, più furtivamente di altre volte, non resiste, e quell’occhiata al telefonino, quella sbirciatina al tablet non riesce proprio a fare meno di darla. Siamo qui e nello stesso tempo lì, nell’acquario virtuale. Ma il tempo reale delle connessioni uccide lo spazio reale avverte, Augé. Ci impedisce una ricerca di senso che possiamo compiere solo all’interno di un’organizzazione del tempo e dello spazio. L’istantaneità è il contrario del tempo, l’ubiquità nega lo spazio e la comunicazione on line non dà vita a una vera relazione che si compie solo alla presenza dei soggetti, altrimenti non si spiegherebbe perché le persone sentano il bisogno d’incontrarsi.
La dittatura del presente fa scomparire gli spazi, il correre da una parte all’altra, dalla realtà alla rete, da un paese all’altro, dalla città alla periferia, produce un decentramento delle persone dai luoghi reali ai luoghi virtuali o ai non luoghi (aeroporti, supermercati, stazioni) dove scompaiono le condizioni per conoscere gli altri. Corriamo da una connessione all’altra, da un paese all’altro ma non basta più,  tant’è si organizzano viaggi nella stratosfera: più corri e meno tempo-spazio hai a disposizione.
Per riappropriarci del futuro secondo Augé abbiamo bisogno di riappropriarci del tempo. Lo dice per l’ennesima volta, Temps, lo dice con affetto, con meraviglia, Temps detto così significa: il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e dobbiamo usarla per coltivare il nostro giardino, che non è le jardin  di Voltaire, ma il mondo. La questione che sta al centro del futuro è l’accesso alla conoscenza: il figlio di un contadino dell’Afghanistan e il figlio di un professore di Harvard devono poter frequentare le stesse scuole. È questa l’idea di mondo per la quale vale la pena impegnare il nostro tempo, senza cadere nel dogmatismo delle utopie, che sono l’origine dei sistemi totalitari, ma ispirandoci al metodo della scienza che mette in discussione le proprie teorie ed è pronta a cominciare daccapo. Un giardino della conoscenza aperto a ogni uomo, senza distinzioni di ceto o provenienza perché per dirla, con le parole di Sartre, “Ogni uomo è tutto l’uomo”.Dopo gli applausi si forma una lunga fila, come a messa per la comunione. Augé firma il suo ultimo libro Futuro (ed. Bollati Boringhieri) e i fans sorridono e chinano il capo in segno di riconoscenza, forse qualcuno pensa a un signore, anche lui con la barba, vissuto circa duemila anni fa, che parlava di uguaglianza.

Scritto da Mario Anton Orefice

Segnalo: http://corsadellanima.blogspot.it/2012/09/auge-il-futuro-rubato.html

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